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11 ott 2015

I 70 dell'UV, fra il dire e il fare...

di Luciano Caveri

Non mi è mai venuto un dubbio alla Nanni Moretti in "Ecce Bombo" e cioè: «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce». Mi riferisco all'invito ricevuto per i festeggiamenti dei settant'anni dell'Union Valdôtaine ed alla scelta se andarci o non andarci, oltretutto - concedetemi almeno una battuta - in quel "Grand Hôtel Billia" di Saint-Vincent che, visti i costi di ristrutturazione e l'esito mediocre del business, era già in partenza una location inquietante. Penso, tuttavia, che si dovesse dimostrare educazione ed esserci, anche se questo non significa affatto farsi fregare dalla nostalgia e da certi bei ricordi. Mi fa piacere, devo dire, che il mio ruolo sia stato ricordato nella ricostruzione del settantennio ed ho visto con piacere tanti amici.

Mi spiace solo, andandoci, di aver svolto il ruolo di "bella statuina", visto che non è stato possibile intervenire, malgrado l'appello della vigilia al dialogo sul futuro dell'autonomia. Ma così non è stato, essendo stata scelta - ed era certo legittimo farlo - una manifestazione solo a carattere celebrativo, puntata più sul come eravamo che su quel che siamo. Perciò non può sfuggire come cinque presidenti della Regione unionisti viventi e invitati (Mario Andrione, Dino Viérin, Robert Louvin, Charles Perrin e chi vi scrive) abbiano tutti lasciato il "Mouvement" ed è rimasto il solo Augusto Rollandin in carica (e che ha profittato dell'occasione per aperture al dialogo, ma tra il dire e il fare...). Penso a che su questa sua perfetta solitudine ogni commento sia superfluo. Insomma dell'UV sono stato esponente per tanti anni in ruoli significativi, sino alla scelta dolorosa ma doverosa di andarmene nel 2013 con l'adesione all'Union Valdôtaine Progressiste non perché irriconoscente o per qualche colpo di testa, ma per proseguire a coltivare ideali e speranze che non ritrovavo più dov'ero prima per un'assenza di confronto su temi essenziali e per un simulacro di democrazia interna. Per altro, mentre si manifestava la crisi di modelli economici e iniziava la spinta anti-autonomista contro la Valle, vedevo una leadership - sempre vincente in termini elettorali - ma del tutto spenta e incapace a reagire a eventi così gravi. I fatti attuali dimostrano che non ero una "Cassandra" rompiballe o un invidiosetto con sete di potere (questa era la vulgata di regime). A due anni di distanza, infatti, l'Union Valdôtaine resta in mano ad una sola persona, che dimostra ormai di non saper adeguarsi ad un mondo che cambia e la Valle d'Aosta, con un pifferaio magico al comando, rischia di cadere nel baratro del darwinismo politico. Diceva Charles Darwin: «Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento». Farà sorridere questo accostamento, allora valga a maggior ragione la frase del celebre politico francese Jean Monnet: «Les hommes n'acceptent le changement que dans la nécessité et ils ne voient la nécessité que dans la crise». Per cui va bene riaggregare e semplificare l'area autonomista, ma questo non può significare aver fatto un percorso di rottura con metodi e comportamenti e poi far finta di niente. Bisogna, invece, avere un progetto e aggregare chi ha dimostrato onestà e impegno disinteressato non giocando sui tavoli a seconda del proprio tornaconto. Altrimenti tutto resterebbe come prima e varrebbe la frase di Totò: «Siccome sono democratico, comando io». Di questo si pensa di discutere?