Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
04 ott 2015

Indipendenza più vicina per la Catalogna

di Luciano Caveri

Per fortuna non ci sono solo cattive notizie, che ormai logorano ogni giorno la nostra pazienza, ma ogni tanto in certa desolazione spunta qualche fiore colorato, che non è solo un segno di speranza, trattandosi talora della metafora tangibile di qualcosa che diventa azione concreta per il cambiamento. Ho seguito con emozione, perché conosco bene la loro realtà e seguo da tempo le loro vicissitudini politiche, le elezioni in Catalogna e l'esito mi fa dire: «ci siamo!» Non è assurdo, come qualcuno potrebbe pensare, per un federalista europeo - quale io mi sento - convinto delle sue idee, sentire battere il mio cuore all'unisuono con chi spera nell'indipendenza del proprio Paese. Perché l'autodeterminazione è uno dei pilastri del federalismo e la sussidiarietà può tranquillamente riguardare il rapporto futuro fra un nuovo Paese, membro dell'Unione europea, anche senza la la Spagna. Madrid, per altro, dovrà rispettare la volontà maggioritaria di un popolo, senza negare l'evidenza o nascondersi dietro alle sentenze della Corte Costituzionale per annullare il diritto ad un referendum.

Difatti, con il voto di oggi, il referendum di fatto si è svolto lo stesso, in barba al divieto leguleio di qualche mese fa e l'esito delle urne è cristallino. Basta dunque nascondersi sul fatto che un referendum vero e proprio sarebbe illegale. Il Diritto non può ignorare la Storia e la Spagna, tenendo conto della via pacifica per la propria libertà scelta dai catalani, deve consentire un plebiscito con l'alternativa secca: indipendenza sì o no. E basta con tutti quelli che nelle ultime settimane hanno agitato paure di vario genere per influenzare l'elettorato, come ha purtroppo fatto persino il presidente americano Barack Obama, che si è espresso per una Spagna unita con un'inaudita invasione di campo. Lo stesso vale per il vicepresidente della Commissione Europea, il lettone Valdis Dombrovskis, che ha ribadito - nel solco di altri esponenti europei in passato - che un'eventuale Catalogna indipendente non sarebbe più soggetta ai Trattati europei e che dovrebbe ripresentare una («vana e inutile», a suo avviso) domanda di ammissione. Che vergogna! Cosa dire poi della coppia Javier Tebas e Miguel Cardenal, rispettivamente capo della Lega calcio e ministro dello sport spagnoli, che hanno detto chiaro e tondo che se la Catalogna dovesse separarsi dal resto del Paese, anche il "Barcellona" non potrebbe più giocare nella "Liga". Ed il "Barcellona" è la società di calcio che, in vario modo, è simbolo della "catalanidad" e i suoi tifosi, la dirigenza e molti calciatori militano per l'indipendenza. Ora siamo dunque ad una svolta, malgrado alcuni toni smorzanti di certi giornali italiani che ho appena letto, causati da un partito preso e spero che i catalani tirino dritto, dopo questo grido corale di libertà che fa venire i brividi. E che il loro esempio - mutatis mutandis, perché ogni comunità ha storie e percorsi diversi - serva da stimolo per i valdostani che ci credono, siano essi d'origine o di adozione, come la Catalogna ha dimostrato di saper fare con un progetto aggregante senza perimetri di esclusione. Questa logica non crea muri e steccati e non è anacronistica, è una prospettiva europeista più della stantia situazione in atto. Anzi, è una strada che implica una riflessione su dove possa andare un autonomismo maturo e pluralista, che non sia passivo e corrivo verso il potere centrale, specie quando - come nel caso valdostano - ci sono segnali grandi e piccoli che mostrano che non solo non ci saranno degli spazi per ottenere più autonomia, ma è in azione una macchina infernale per togliere quanto sinora faticosamente ottenuto. Senza reazioni e azioni sarà una lenta agonia con cippo funebre al capolinea.