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24 set 2015

Il Tor des Géants

di Luciano Caveri

Seguo con curiosità l'evolversi negli anni del "Tor des Géants", sospeso e poi annullato per il maltempo in questa edizione 2015, dopo che solo sei "runner" erano giunti al traguardo di Courmayeur. Mi par di capire che, arrivati alla sesta edizione, si possano fare alcune considerazioni, senza alcun partito preso rispetto a questa specialità atletico-alpinistica, che può piacere o non piacere, ma è certamente un fenomeno sportivo e sociale. Chi mi legge sa che certe competizioni estreme le seguo, ma questo non mi impedisce di riflettere sul messaggio ambiguo che se ne ricava rispetto alla frequentazione della montagna. Lo dico come considerazione culturale e di costume, sapendo ovviamente quanto il moltiplicarsi di gare del genere sia comunque il segno che esiste una domanda, cui corrisponde un'offerta ed è giusto che l'alpinismo segua gusti e mode. Senza perdere, se possibile, la tramontana, perché certe punte agonistiche non sono l'ordinarietà anche rispetto al mondo turistico.

Ricordo, tornando al "Tor", che lo stesso presidente della Regione, Augusto Rollandin, ha detto - da partecipante, ma ci sono aspetti di sicurezza che toccano le sue funzioni prefettizie - che è stata scelta la settimana sbagliata. Qualche episodio di maltempo nel periodo prescelto c'era già stato in passato, ma non aveva sortito ripensamenti e per chi organizza resta un baluardo di certezze ancora ora. Quest'anno le previsioni meteo erano ben note e dunque la scelta di dare regolarmente il "via" è stata un azzardo immagino calcolato, che si è infranto contro le circostanze del tutto previste con la ragionevolezza scientifica. Comprensibile la conseguente delusione per i partecipanti incappati in uno "stop" definitivo. Ed anche con il dispiacere - perché la gara è così - per amici e parenti che seguono la competizione, che risultata abbastanza snobbata dalla grande stampa nazionale internazionale. Oggi, fare una "rassegna stampa" è questione più semplice del passato e, tolta tutta la retorica che sempre avvolge competizioni estreme da che mondo è mondo, resta il discorso di valutare costi e benefici nell'impatto promozionale. La stagione prescelta, d'altra parte, è ovvio che sia soggetta a rischi di cattivo tempo, che in quota significano ghiaccio e neve. Lo si è visto la prima notte con un tempo da tregenda, che avrebbe potuto mietere anche qualche vittima e in certe circostanze non ci si può affidare solo alla buona stella, che sinora ad oggi aveva certamente brillato, considerato il periodo. Ha ragione il mio amico, alpinista e guida alpina, Abele Blanc, a dire in sostanza e con una certa rudezza che questa è una gara da duri e chi non lo è stia a casa, ma è anche vero che - a differenza ad esempio dell'"Ultratrail du Mont Blanc" - al "Tor" non si chiede un curriculum o qualche tipo di punteggio pregresso per la partecipazione. E spesso arrivano atleti da Paesi lontani (come non pensare al povero cinese morto nel 2013 durante la gara, causa le avverse condizioni meteo), che forse non hanno esatta percezione dei rischi che si corrono a quote così elevate. Pensando poi che non abbiamo solo atleti giovani, come avviene in altri sport, ma ci sono persone di tutte le età, anche piuttosto avanti con gli anni, compresi quelli che usano questo cimento per misurare le proprie forze o dimostrare di essere "ganzi". Lo dico naturalmente con malcelata invidia per l'intrinseco machismo. Chi, come me, si è occupato dell’organizzazione di gare con qualche analogia - come fu il "Trofeo Mezzalama" - sa quanto sia importante, ad esempio, riflettere sulle attrezzature da rendere obbligatorie e mi pare d'aver letto che lo stesso Lucio Trucco, esperto di grande fama come alpinista e soccorritore, abbia cominciato a parlare di rendere obbligatori ramponcini, che evitino scivolate mortali se la temperatura si abbassa e spunta il gelo. Lo stesso vale, ma immagino che già sia stato trattato, per il vestiario che deve evitare che, in caso di emergenza, si possa finire male troppo facilmente per ipotermia. La Regione Valle d'Aosta, che è uno degli "main sponsor", dovrà far sentire la sua voce rispetto ad un'organizzazione privata della gara, che pure però ha un sostegno evidente del "Pubblico" e soprattutto ha una rete di generosissimi volontari che ci mettono tempo e energia di tasca loro. Per cui forse, anche se certo non spetta a me, sarebbe bene capire - ammesso che non sia già manifesto - quali siano i reali margini di redditività per chi organizza competizioni di questo genere. Bisognerà poi fare scelte sempre più meditate sulla sicurezza per prevenire incidenti, altrimenti - a fronte di drammi in gara - non si potrebbe di certo "faire semblant de rien".