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09 mag 2015

Prendere posizione

di Luciano Caveri

Viviamo tempi travagliati, che pongono ciascuno di noi di fronte a tanti dubbi e persino paure, che ci riguardano e riguardano le persone che amiamo e le speranze per il futuro. Scriveva negli anni Cinquanta Norberto Bobbio, che tanto ha scritto di argomenti attorno all'uomo e alla politica: «Prendere posizione non vuol dire parteggiare, ubbidire a degli ordini, opporre furore contro furore, vuol dire tender l'orecchio a tutte le voci che si levano dalla società in cui viviamo e non a quelle così seducenti che provengono dalla nostra pigrizia o dalla nostra paura, esaltate come virtù del distacco e dell'imperturbabilità, ascoltare i richiami dell'esperienza e non soltanto quelli che ci detta un esasperato amor di noi stessi, gabellato per illuminazione interiore. E soltanto dopo aver ascoltato e cercato di capire, assumere la proprie parte di responsabilità». Non ho mai avuto difficoltà a scrivere quel che penso e non c'è nulla di eroico nel farlo. Quel che importa è essere a posto con la propria coscienza, che è già un rassicurante punto di partenza, che deve indicare una via per ripensare al ruolo, oggi così fragile e discusso, della politica e dei politici.

Moralità. Tutti indicano questa soluzione come una delle chiavi di volta per ritessere i rapporti dei politici con quella larga fetta di cittadini infuriati o disillusi, per limitarci a due dei molti stati d'animo che possono starci in mezzo. Ma basta guardarsi attorno per capire come in politica, purtroppo, continuino ad esserci persone che sono finite lì e in molti casi ci restano, usando metodi che dovrebbero suscitare scandalo. Voti e fedeltà in cambio di posti di lavoro o di altro, come può essere una spintarella per avere una casa popolare o lo sveltimento di una pratica. Nulla a che fare - sia chiaro il distinguo - con interessamenti leciti anche nell'attività di un politico, come può essere l'invio di un curriculum o richiedere informazioni agli uffici. Il problema, infatti, si manifesta quando il legame con l'elettore diventa luciferino, perché basato su di una logica clientelare in cui non ci sono in ballo stima e considerazione per il lavoro svolto e per i legittimi diritti dei cittadini. Ed invece siamo di fronte a un nudo e crudo "do ut des". Io ti do affinché tu mi dia. E se è già vergognoso che ci sia chi giochi con il voto di scambio, che è per altro un reato, figurarsi se poi a scorrere sono dei soldi... Sarebbe ora che su queste situazioni ci fosse uno scossone e si incominciasse nei partiti politici a fare pulizia. Se questo non si realizza, allora ci sia chi - dovendolo fare per lavoro - raccolga prove ed elementi che consentano a chi si comporta male di finire nelle patrie galere. Altrimenti tutto è falsato. Così si affermerebbe l'idea, che già è un tam tam popolare, che esista uno spazio franco di impunità per chi in politica gioca contro le elementari regole della morale, che sono anche a difesa dei principi cardine della democrazia. Se il quadro fosse realistico, potremmo di conseguenza considerarci spacciati e assisteremmo a elezioni che sarebbero come partite di calcio di cui già si conosce l'esito sulla base di combine che mutano la sostanza della competizione. Scriveva Oriana Fallaci, giornalista di razza e donna dal carattere spigoloso ma franco: «Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». Pensarci è importante.