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15 feb 2015

Il triste destino del Professor Monti

di Luciano Caveri

La politica sale e scende e chi si trova a bordo ha spesso l'idea di trovarsi su di un vagoncino di un ottovolante. Io penso che si debba sempre ragionare con serenità sugli avvenimenti, sapendo che i giudizi (come la vendetta, che ha una sua nobiltà quando ripristina un torto subito ) sono piatti che vanno mangiati freddi. Ecco perché io credo che si debba, comunque sia, l'onore delle armi a Mario Monti, ormai rimasto un Generale senza truppe. Resta senatore a vita, nomina probabilmente improvvida del presidente Giorgio Napolitano che ottenne il 9 novembre 2011, come momento propedeutico al successivo passaggio del 16 novembre 2011, quando divenne - fino al 28 aprile 2013 - presidente del Consiglio.

Di recente, prima ancora che "Scelta Civica" si squagliasse a Palazzo Madama con un imbarazzante "fuggi fuggi" verso il Partito Democratico, Monti aveva chiesto rifugio al composito Gruppo delle autonomie, che è composto da diciassette senatori, appartenenti a Südtiroler Volkspartei, Union Valdôtaine, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Unione per il Trentino, Partito Socialista Italiano, Democrazia Solidale e Movimento Associativo Italiani all'Estero. Fanno parte del Gruppo anche i senatori a vita Giorgio Napolitano (dopo le dimissioni da Presidente della Repubblica), Elena Cattaneo e Carlo Rubbia. Ma proprio la componente autonomista, che ha accolto l'ex Capo dello Stato, ha bocciato Monti, perché - così ho letto - durante la Presidenza fu "nemico" delle Speciali. Una scelta che forse si poteva evitare, come bocciatura postuma. Monti forse - in una logica di patti chiari e amicizia lunga - avrebbe dato uno spessore culturale al Gruppo che andava valutato. Che fosse ancora un nemico ormai era tutto da dimostrare. E comunque sia, mi spiace davvero che Monti sia ricordato solo per gli aspetti negativi e per questo tradimento di gran parte dei suoi "miracolati". In politica non c'è riconoscenza. Anche se sul giudizio negativo del Monti politico pesa il comportamento stesso dell'ex premier. Presa in mano l'Italia dopo il dramma concreto e di immagine del berlusconismo, il celebre bocconiano si era innamorato del suo ruolo politico con una lenta trasformazione culminata nel grave errore di fare un partito e presentarsi alle elezioni. Specie perché aveva detto esplicitamente che mai si sarebbe presentato, ma poi ha seguito i "pifferai magici" del centrismo - come Pier Ferdinando Casini - che lo hanno condotto alla rovina. Ma questo non cancella, almeno per me, quanto fece come Commissario europeo alla concorrenza ed un certo piglio che permise all'Italia di non finire nel baratro al momento dato grazie al suo credito internazionale. Poi errori, abbagli e persino una grottesca sovraesposizione televisiva sono stati evidenti ed è vero che Monti colpì senza scrupoli le finanze delle Autonomie speciali e le loro prerogative, ma temo che dal punto di vista istituzionale - per il futuro stesso dell'esistenza di un'Autonomia speciale come quella valdostana - si preparino tempi ancora peggiori. Roba da rimpiangere il "Professore" e il suo tratto severo manzoniano. Certo Monti - reso caricatura chissà perché per via del suo loden, come se fosse il segno di una sobrietà considerata ridicola, specie rispetto al trash delle altrui "serate eleganti" - non resterà con grande spazio nei libri di Storia, ma i passaggi attuali senza quella discontinuità neppure esisterebbero. Chi oggi finge amnesie, dimenticando la genesi di quel Governo, si infila nella strada ben nota dell'Italia con la vittoria che ha molti padri, mentre la sconfitta è sempre orfana. Come diceva Leo Longanesi sull'Italia: «non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi».