Il giornale "Trentino-Alto Adige" (che esce in due edizioni per Provincia autonoma) ha pubblicato oggi, come mi aveva chiesto il suo direttore, Alberto Faustini, che ha aperto un dibattito sul futuro della loro autonomia speciale, un mio contributo, pubblicato in prima pagina, che qui riporto.
Leggo ogni giorno il Trentino e l'Alto Adige, perché per un valdostano sapere cosa capiti ai "cugini" dall'altra parte delle Alpi è un dovere. Con vivo interesse, dunque, ho seguito il lancio della discussione sull'Autonomia, proposta intelligentemente ed al momento giusto dal direttore, Alberto Faustini. Mi sono detto: perché non intervenire? Ed eccomi qua a proporvi qualche riflessione. Lo faccio, perché consapevole del fatto che le autonomie speciali, la vostra come quella della Valle d'Aosta, sono legate a filo doppio e gli uni devono sapere sempre cosa fanno gli altri e, se possibile, concertare azioni comuni. E' una storia che ho vissuto sia come deputato della Valle d'Aosta a Roma sia nel ruolo di presidente della mia Regione autonoma, così come nel mandato di parlamentare europeo.
Noi valdostani non ottenemmo a Parigi, nella Conferenza di pace a chiusura della Seconda Guerra Mondiale, quella "garanzia internazionale" di cui voi potete ancora godere. Charles De Gaulle non era più in carica, ed i francesi, che occuparono la Valle d'Aosta subito dopo la Liberazione, lasciarono la nostra terra su spinta degli angloamericani a difesa soprattutto degli interessi degli industriali, come la "Fiat", che avevano bisogno della nostra energia idroelettrica. Come voi, ottenemmo un'autonomia speciale grazie soprattutto all'operato dei nostri padri fondatori. Ciò avvenne sulla base di un'autonomia storica che ci aveva portato, sin dal Medioevo, a convivere con Casa Savoia, seguendone poi i destini, sino a quel decreto luogotenenziale del 1945 che ci diede la prima forma d'autonomia con quell'Umberto di Savoia firmatario, che fu l'ultimo della Casata, prima dell'avvento della Repubblica. Poi, come noto, arrivò lo Statuto d'autonomia, che ha avuto nel tempo qualche miglioria, ma resta nella sostanza quello del lontano 1948. Da noi, per ragioni storiche e culturali, sin dall'inizio del Novecento, si iniziò a riflettere su quali forme avrebbe potuto basarsi un'autonomia valdostana. Ma, dopo l'Italia liberale e la sconfitta di chi voleva forme di regionalismo e chi sperava in un'unità di tipo federalistico, arrivò la persecuzione fascista. Per cui, nella temperie della Resistenza, maturano le discussioni sul futuro della Valle, compresa l'opzione di annessione alla Francia. Ma poi le circostanze spinsero al realismo della discussione con Roma e autonomia speciale fu, con tutti quei limiti applicativi da voi stessi vissuti. Ma da quel passato emerge, almeno da noi, un filone fecondo, che mi portò all'inizio degli anni Novanta a presentare la prima e in realtà unica proposta di legge costituzionale per un'Italia federale. C'entra qualcosa con l'autonomia attuale? La riposta è "sì" e per una semplice ragione: un'autonomia "concessa", come quella attuale, pur legata a meccanismi di tutela più o meno forti, specie la procedura di revisione costituzionale e per quel "patto politico" che ne è alla base, continua purtroppo ad essere legata alle decisioni di Roma (anche se voi avete il vantaggio di Vienna che può giocare qualche partita in più). Il regionalismo avanzato come il nostro ha, insomma, una fragilità di fondo. Lo si è visto nella riforma costituzionale in corso, che accentua il centralismo statale e umilia il regionalismo ordinario, mantenendo la nostra specialità in un deserto per il sistema autonomistico, che non è una garanzia per il futuro. Ecco perché, se è un bene riflettere della nostra autonomia speciale al nostro interno, perché l'autonomia comporta diritti ma anche doveri e se è bene capire le dinamiche con Roma ed anche con Bruxelles, essendo l'Unione europea sempre più incombente sui nostri poteri e sulle nostre competenze, la strada politica da imboccare è quella del federalismo vero e non quello invocato negli anni passati senza risultati concreti. Senza federalismo resteremo sempre con una "spada di Damocle" che penzola sulla nostra testa e che può cadere su di noi in qualunque momento. Il clima non è buono e in tanti, sempre più e da qualunque ambiente, rinfocolano la vecchia storia dei "ricchi e privilegiati". Per cui stare sulla difensiva comporta gravi rischi. Bisogna rilanciare una Costituente dei nostri Statuti, incrociando la discussione fra di noi, verso un disegno federalista, che dia tranquillità alle generazioni future e ai nostri popoli di montagna.