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11 nov 2014

Onore a chi combatte Ebola

di Luciano Caveri

Intanto ci vuole una premessa: qualunque medico sia andato o vada volontario in Africa, per prestare la sua assistenza, va considerato meritevole per questa sua iniziativa umanitaria. Ho parlato nel tempo con molti di loro e, pur con differenze che esistono fra i Paesi, c'è un problema di una media assai bassa nella qualità della Sanità nell'intero Continente. Sono racconti tristi e talvolta strazianti, in cui la malattia si intreccia con la povertà e la morte incombe - tanto per essere chiari - con modalità impensabili nelle nostre società occidentali. Tante volte mi sono chiesto, al di là della beneficenza che come tale non deve avere un risvolto pubblico, che cosa potrei fare io stesso laggiù di utile e purtroppo, non avendo capacità pratiche, temo che sarei solo un impaccio. Per cui ammiro questi dottori che sono ormai affetti dal "mal d'Africa", quella malia che solo gli stupidi bollano come una nostalgia di stampo colonialista. Si tratta, invece, di una fascinazione e di una simpatia che alimenta, per chi è un volontario vero, il desiderio di tornare per aiutare popoli e terre che vivono in condizioni difficili. Ecco perché il medico di Quart, di cui conosco il nome ma non lo faccio perché immagino che così lui abbia chiesto, oggi in "quarantena" in Valle d'Aosta a seguito di un suo soggiorno nella Sierra Leone, è una persona da apprezzare e da ammirare. I timori, come è noto, dipendono proprio dal fatto che Ebola ha una diffusione particolarmente grave in quel piccolo Paese con sei milioni di abitanti, già colonia inglese, che si trova in Africa Occidentale, sulla costa dell'oceano Atlantico. La nazione confina con la Guinea a nord e a est, e con la Liberia a sud-est. Questa e complessivamente una delle zone più a rischio. Scrive "Emergency" sul suo sito: "In Sierra Leone l'epidemia di Ebola è fuori controllo: ogni giorno si ammalano più di cinquanta persone. Per far fronte a questa emergenza, giovedì 18 settembre 2014 Emergency ha aperto un Centro per la cura dei malati di Ebola a Lakka, a pochi chilometri dalla capitale Freetown". Così si spiega con maggior dettaglio: "Abbiamo deciso di aprire questo Centro perché l'epidemia non accenna a fermarsi: i casi positivi aumenteranno e c'è bisogno di altro personale sanitario, altri reparti di isolamento e altri posti letto per la cura dei malati (...) Emergency ha appositamente allestito una struttura messa a disposizione dal ministero della Sanità locale. La struttura è suddivisa in un'area di attesa, un'area di triage, un'area per l'isolamento dei casi sospetti dotata di 10 posti letto, un'area dedicata alla cura dei malati da dodici posti letto, una zona di disinfezione e un obitorio. A queste si aggiunge l'area dei servizi con spogliatoi, magazzini, lavanderia, cucine. Presso il Centro di Lakka lavorano circa 110 persone tra medici, infermieri, logisti, ausiliari, personale delle pulizie. Gli operatori internazionali vengono da Italia, Serbia, Spagna e Uganda". Il medico, come dicevo, è in quarantena (parola che definisce una modalità inventata dai veneziani giramondo) per essere sicuri che non abbia contratto Ebola e sia di conseguenza potenzialmente contagioso. Una possibilità considerata tenue e che, per altro, accende i fari sulle modalità di controllo reali. Viene "isolata" una persona che ha volato su un volo di linea e poi da Milano ha raggiunto Aosta in treno. Se ci fosse stato un reale pericolo, immagino che le modalità sarebbero state diverse, ma sfugge a quel punto la logica della "quarantena" (che poi sono una ventina di giorni...). Questa scelta, che pare dettata dalle regole nazionali, crea, infatti, sconcerto e inutili preoccupazioni nella popolazione. Speriamo che Ebola si fermi e che l'Occidente decida di investire il necessario contro questa epidemia. Ma l'occasione dovrebbe essere utile, anche qui da noi, per testare procedure e modalità, visto che questa non sarà - purtroppo - né la prima e neppure l'ultima minaccia per una malattia contagiosa.