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10 nov 2014

Il futuro della Valle d'Aosta

di Luciano Caveri

Il punto di partenza è ovvio: contro i troppo silenzi, contro un certo conformismo e anche contro i rischi dell'ignoranza e di certe miserie quotidiane più si parla della "question valdôtaine" e meglio è. Lo si deve fare ordinariamente, perché il tema ha una sua perennità, almeno finché ci sarà un popolo valdostano, così come è mutato nel tempo. Ogni epoca, però, ha il suo contesto e i suoi problemi conseguenti. Chi mi segue sa bene che l'invenzione che mi piacerebbe avere sottomano è una macchina del tempo, che mi consentisse di poter viaggiare attraverso i secoli per capire bene e da testimone diretto alcuni passaggi della nostra Storia. E il rovello principale, oggetto di chissà quante "interviste impossibili" con protagonisti significativi di certi "eventi chiave", sarebbe quello di capire se e quanto ci fosse di consapevole - hic et nunc, mentre le si vivevano - su come certi fatti avrebbero pesato sui destini successivi dell'intera comunità. Insomma: ci sono dei bivi di fronte ai quali ci si trova e non sempre, forse, si ha la capacità di coglierne la reale portata. Ed è quanto - a naso - mi pare possa capitare di questi tempi rispetto all'attuale situazione dell'ordinamento valdostano, così come cristallizzatosi a partire dal secondo dopoguerra, ma con radici ben più profonde. Tutto porta a dire, come constaterebbe chiunque vedendo da un promontorio il mare ritiratosi verso l'orizzonte, che qui si prepara uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili. Tra due giorni, all'Hôtel des Etats in piazza Chanoux ad Aosta alle 21, verrà presentata - ed ho avuto dagli autori, Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti, il privilegio di averne una copia in anteprima e dunque non ne "brucerò" i contenuti - la pubblicazione che lancia, nel dibattito che evocavo, il termine "Valdostanismo". Si tratta di un neologismo raramente adoperato in passato, anche in Consiglio Valle, con un prevalente significato un pochino canzonatorio. Quasi sempre, insomma, quando qualcuno da posizione autonomiste classiche prendeva in giro chi, da partiti nazionali veri e propri o da partiti locali camuffati da autonomisti, sembrava scoprire d'improvviso l'acqua calda del particolarismo valdostano. Nel libro, invece, si spiegano le buone ragioni per usare questo termine, che ha i medesimi contenuti di quel "valdostanità", che mi è capitato di usare nel corso del mio impegno politico. I due autori ("Attenti a quei due", verrebbe voglia di scherzare, usando il titolo di un vecchio telefilm, perché ormai saranno "sorvegliati speciali" da chi veglia sull'"italianità" valdostana...) non sono nuovi alle ricerche, nel quadro delle loro attività culturali. Lo hanno fatto con il celebre inventore valdostano del telefono, Innocenzo Manzetti, con altre personalità analoghe del passato, con la "questione valdostana" (una nazione senza Stato) ed altri libri su aspetti culturali vari, ma sempre nel solco di fare della divulgazione che avesse però delle fondamenta solide, perché fare bene la sintesi prevede di partire da una conoscenza vasta, dimostrando la capacità di sfrondare per comunicare l'essenziale. Caniggia e Poggianti, detto senza anticipare troppo, propongono un viaggio a favore della Valle d'Aosta e della sua libertà, evocando sin da subito tutto quanto di male e di brutto viene detto su questa nostra autonomia speciale. Partendo da un elenco che parrebbe scolastico, ma è un memento forte come fecero quella fontana di Cogne, cui hanno dedicato apposito volumetto. Si parte dalla Montagna alpina come elemento naturale, si passa alla costruzione dell'identità e ai diversi passaggi politici, si va al ruolo della religione e ai problemi linguistici sino alla proposta politica vera e propria - che spero un giorno di dibattere con gli autori - attorno al tema spinoso dell'indipendenza, come si è visto oggi con Scozia e Catalogna. Avendo dedicato molto della mia vita ai problemi giuridici e culturali di questa piccola Valle d'Aosta, in un mondo che cambia con rapidità e con mutevolezze difficili da interpretare e da affrontare, sono lieto che certe questioni siano al centro di una rinnovata attenzione. Chi lo fa in più ci mette da sempre la faccia, come fanno in Valle d'Aosta - anche sui temi del "valdostanismo" - quei Signori o Signore che sulla stampa locale scrivono lettere di fuoco, chiedendo tuttavia di apporre in calce la firma più facile del mondo per non esporsi: vale a dire "lettera firmata". Si tratta del coraggio dell'anonimato.