Non c'è un dio cattivo e sanguinario, come fa il "Moloch" delle religioni mediorientali con sacrifici umani, dietro alle vicende politiche che sono alla base dell'attuale aggressione dell'autonomia speciale della Valle d'Aosta. E' un mostro diverso, equiparato proprio al "Moloch" ma nell'analisi politica, che venne anzitutto definito dal pensatore inglese Thomas Hobbes «il Leviatano», dal nome del mostro marino dell'Antico Testamento, nel suo celebre libro del 1651. Si tratta niente altro che dello Stato, questa forma di organizzazione politica che oggi - a cinque secoli di distanza da quei pensieri fondativi dello Stato moderno - soffre per la sua evidente inadeguatezza fra comunità che reclamano dal basso un loro ruolo e una mondializzazione che richiede decisioni di taglia più grande, come può essere l'Unione europea. Quando sento parlare di "Patto di stabilità" (o come reso caricaturale in "Patto di stupidità"), di tasse locali dei Comuni valdostani forzatamente trasferite a Roma, di tagli feroci al Bilancio regionale con "prelievi" che violano le norme d'attuazione, certamente mi indigno. Queste scelte, che poi non sono solo finanziarie perché vi è un vero e proprio arrembaggio contro poteri e competenze, non sono frutto del Caso e della sua capricciosità, come potrebbe essere un'inondazione o un'invasione di cavallette. Sono l'esito di scelte governative, che spesso spingono sull'acceleratore di decisioni prese a Bruxelles, che passano - con o senza fiducia poco conta nella sostanza dal Parlamento italiano - dove, tra l'altro, siedono due parlamentari valdostani. Sono le norme e non la cattiveria astratta degli uomini a pesare oggi come dei macigni. E' vero che le leggi seguono l'aria dei tempi e il venticello contro il regionalismo e il sistema degli Enti locali sembra acquisire ancora maggior vigore quando la discussione concerne le autonomie speciali. Il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, che presiede anche la "Conferenza delle Regioni" e in quel ruolo dovrebbe essere garante anche delle "Speciali", in un recente convegno si è lasciato andare ad un «si dovrebbe affrontare la questione delle Regioni a Statuto speciale, anche perché come dice il film di Alain Resnais "La guerra è finita". A sessantasei anni penso che un rivisitazione si possa fare». A parte che la citazione del film è sballata, essendo buono solo il titolo, perché la pellicola riguarda in realtà gli anni Sessanta e dunque non c'entra nulla con il secondo dopoguerra, colpisce l'idea che al posto di elevare il regionalismo ordinario verso un regionalismo più forte si voglia "livellare" al ribasso quella sola fiammella di federalismo che l'ordinamento italiano ha nelle autonomie speciali. Ma nelle stesse ore anche l'algida ministra delle Riforme, Elena Boschi, nientepopodimeno che alla "Leopolda", dice: «aboliamo le Regioni autonome», avendo a fianco la povera presidente del Friuli -Venezia Giulia, Debora Serracchiani, astro nascente del "renzismo", ma votata in una Regione dove si crede alla specialità. Per cui un comunicato successivo ha sancito un imbarazzante quanto improbabile "dietro front", che non nasconde che cosa si pensa davvero. Resta, infatti, l'evidenza che due esponenti di spicco legati all'attuale Governo si infilano in questo filone di pensiero, che un tempo era appannaggio della parte più retriva della Destra. Ma ormai le definizioni sono difficili da dare agli schieramenti politici, che sono come le carte che escono a casaccio giocando a briscola. Destra e Sinistra, tutto traballa... Resta scolpito nei miei pensieri quanto scritto dal grande Montesquieu, filosofo e politico settecentesco, di cui ho visto di recente la statua nella natia Bordeaux: «Une chose n'est pas juste parce qu'elle est loi; mais elle doit être loi parce qu'elle est juste». Questo è il punto: il continuo stillicidio, dalla legislazione alla semplice circolare, di atteggiamenti statali ostili alle autonome speciali va combattuto non solo perché viola norme costituzionali e Statuto speciali in vigore, ma perché questa scelta distruttrice è ingiusta. La storia di certe comunità e di certi popoli, come quello valdostano, ha una profondità ben più grande delle attuali organizzazioni statuali e oggi che lo Stato mostri il suo volto feroce nel nome di un centralismo efficace e salvifico ci deve sinceramente preoccupare. E conferma - se mai ce ne fosse stato bisogno - quanto questa attitudine, come il Lupo travestito da nonnina di Cappuccetto Rosso, si stia sempre più svelando, dopo l'ubriacatura del federalismo verbale di pochi anni fa. Il «che fare?» è evidente: si tratta di reagire colpo su colpo. Evitando, se possibile, il finto unanimismo e la sceneggiata dei fazzoletti con cui asciugarsi gli occhi. Tenendo conto delle responsabilità a Roma come ad Aosta, per alcuni le lacrime sono di coccodrillo o causate da una bella cipolla cavata dalla tasca. E' bene, perciò, operare dei distinguo anche nel necessario sforzo corale.