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12 ott 2014

C'è commozione e commozione

di Luciano Caveri

Proseguo la lunga marcia che mi porta a zigzagare fra stati d'animo, sentimenti e pensieri, ogni martedì sulle frequenze radio dei programmi di "RaiVd'A". Ascoltabile in diretta in FM e sul bouquet radio del digitale terrestre: non ci sono "streaming" e "podcast" rinvenibili sul web, ma non bisogna mai disperare. Ho scritto qui dell'esordio, assai insidioso sul tema "Ottimismo", mentre ho glissato sulla seconda puntata sulla libertà, che ho cercato di tenere distante dai rischi che grondasse retorica. Valga, con uso meno drammatico dell'originale, mentre le ghigliottine viaggiavano come affettatrici, quel che disse nel 1793 Madame Rolland: «Ô Liberté, que de crimes on commet en ton nom!». Questa volta l'argomento era piuttosto complesso, per mia scelta e dunque non posso lamentarmene. Si è trattato, con Elena Meynet al microfono con me a caccia di personaggi eminenti, di sondare la Commozione. Come sempre questo è avvenuto in italiano e francese, per cui bisognava fare attenzione perché "Commotion" è un "faux ami", perché il termine giusto per designare il sentimento e non una lesione cerebrale in francese è "Émotion". Ma il dato di partenza, per vicinanza della data di celebrazione, erano anche i novant'anni di un mezzo che sa essere commovente, come la radio e il cui primo segnale emesso in Italia risale appunto al 1924. Come non ricordare la definizione spassosa del funzionamento del mezzo radiofonico di quel geniaccio di Albert Einstein: «Vedete, il telegrafo a filo è un tipo molto, molto lungo di gatto. Voi tirate la sua coda a New York e la sua testa miagola a Los Angeles. Lo capite questo? E la radio opera esattamente allo stesso modo: voi mandate i segnali qui, e loro li ricevono là. L'unica differenza è che non c'è alcun gatto». E la commozione? Quel che colpisce è l'uso ubiquo nella nostra testa, perché può essere originato dalla gioia e dal dolore, dalla vita e dalla morte, dalla speranza o dalla delusione. Può essere qualcosa di molto semplice, come nella frase del grande scrittore Mario Rigoni Stern, che propone la commozione della visione di un'alba in montagna, che freme con il primo sole. Oppure il racconto di un medico di Aosta, Marco Sarboraria, impegnato da anni nei Paesi più poveri del mondo e oggi fautore di un progetto nella Guinea Bissau. Pensando, però, ai flagelli di "ebola" e agli scenari di guerra, che ci preoccupano e ci commuovono, ma ci aprono anche gli occhi su come certi orrori siano ancora così presenti nella nostra umanità. E' suggestivo essere accompagnati nel viaggio attorno alla Commozione dalla voce nota di Daria Bignardi, giornalista e scrittrice, che dalla pianura più bassa che c'e, quella ferrarese, si sente oggi in sintonia con la nostra comunità walser, di cui è affezionata villeggiante. Ma c'è anche la poesia, come può essere il Jacques Prévert, della poesia sull'abbandono "Déjeuner du matin", che esiste anche in versione cantata con la voce roca e sensuale di Marlene Dietricht. Vi è poi l'arte, come amplificazione di questo nostro sentimento, nelle parole di un'archeologa e donna sensibile come Cristina Ronc, che racconta di luoghi e persone, partendo dalla pietas sempre esistita per le tombe degli scomparsi. Si sono poi aggiunti i pensieri intelligenti di Paolo Maria Noseda, che ha ricordato l'emozione di fare l'interpretariato in simultanea del discorso di Barack Obama, quando divenne presidente degli Stati Uniti. Il primo uomo di colore alla Casa Bianca. Certo anche io, come tutti, mi commuovo. Mi è capitato, più in positivo che in negativo, in politica. Avviene nella vita familiare per le molte storie che si intrecciano. Sono debolissimo se guardo un film o leggo un libro che mi colpisce al cuore. Imbattibile - per sorriderci sopra - come sdrammatizza il tema il grande battutista Marcello Marchesi: "Un caso pietoso commuove, due, anche tre deprimono, dieci amareggiano, cento scocciano, mille rallegrano gli scampati".