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14 gen 2014

L'iniziativa Weber

di Luciano Caveri

Mi è capitato di finire, in una tavolata di svizzeri, nel pieno di una discussione politica incandescente, su di un tema che - quando ci sarà una strategia per macroregione alpina, cui comparteciperanno anche i Cantoni elvetici - potrebbe essere un argomento da approfondire per tutte le zone turistiche delle Alpi. Sarebbe ora che su certi temi, fatti salvi i diversi ordinamenti e la logica di reciproca concorrenza, ci fosse una visione comune su malattie da curare. Mi riferisco, in questo caso, al dilagare delle seconde case: fenomeno che consuma il territorio e che crea i famosi "letti freddi", che sono negativi per il turismo montano. Il tema, anche in Valle d'Aosta, ha visto, in diversi piani regolatori, meccanismi correttivi (tipo legare le costruzioni nuove ai posti letto alberghieri), ma poi le cose non hanno funzionato, perché "fatta la legge, trovato l'inganno" e in alcune località l'immobiliare è davvero un fenomeno speculativo. Si è continuato a costruire, mentre magari il patrimonio immobiliare storico cade a pezzi. Ma la discussione in Svizzera - su cui ero preparato, stupendo gli amici elvetici - riguarda una decisione drastica in particolare, così riassumibile, come emersa da un referendum, attraverso una scheda di sintesi: "L'initiative populaire «pour en finir avec les constructions envahissantes de résidences secondaires», dite «initiative Franz Weber» du nom de son principal promoteur, est une initiative populaire suisse, acceptée par le peuple et les cantons le 12 mars 2012". L'ecologista Weber, dopo anni di battaglie, ha vinto con questo referendum, che agisce sulla Costituzione: "L'initiative propose d'ajouter un article 75a à la Constitution fédérale limitant à 20 pour cent du parc des logements et de la surface brute au sol habitable le nombre accepté de résidences secondaires pour chaque commune". I vallesani, che forse avrebbero dovuto legiferare prima, ma pensavano che Weber non ce la facesse e dunque si potesse traccheggiare, ora sono con le spalle al muro e poche settimane fa: "Une étude récente de l’institut lausannois iConsulting a chiffré à 300 millions de francs les pertes financières cumulées pour les ménages des cantons du Valais et de Vaud. Pour le seul Valais, 3300 emplois devraient être gommés, pour l’essentiel dans la construction et au niveau des emplois indirects qu’induit ce secteur". I miei commensali agitavano cifre ancora peggiori e scappatoie non ce ne sono, dopo un pronunciamento del Tribunale federale, che ha ribadito che l'esito del referendum è immediato e la legge applicativa indiscutibile e il testo definitivo tra poco arriverà per regolare le mille implicazioni giuridiche derivanti dal voto popolare. Quel che inquieta nelle discussioni è che, anche in Svizzera, sembra in difficoltà la costruzione di alberghi, quelli che hanno i "letti caldi": il sistema bancario sembra restio a finanziare operazioni di questo genere per la scarsa redditività del turismo alpino. Il "caso valdostano", dove il blocco totale e poi parziale del pagamento dei mutui ha per ora rallentato il rischio di nuovi crack nel settore alberghiero, ha problemi simili e in certi casi ancora più delicati. Mi riferisco, per fare un esempio, al tasso medio di occupazione, che è più probante della lotteria dei numeri di arrivi e di presenze. Anche questa storia degli alberghi, in connessione con le seconde case, che consentono guadagni immediati e ben più elevati per gli investitori, dovrebbe essere oggetto di una riflessione congiunta delle popolazioni alpine per capire come mai le straordinarie attrattive montane non bastino più ad attirare turisti e tocchi sempre fare i salti mortali per restare a galla. Nel caso valdostano, trovo giusta lo sforzo di attrazione di turisti stranieri di nuova provenienza, anche se non si possono fare le nozze coi fichi secchi per la promozione, ma rassegnarsi alla fuga degli italiani appare una miopia.