Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
07 dic 2013

Geografi o costituzionalisti in erba?

di Luciano Caveri

La "Società Geografica italiana" continua nel suo giochino del "piccolo costituzionalista" e traccia, nei suoi studi, compreso quello più recente per il Governo Letta, nuovi scenari. Addirittura giungendo sino ad una relazione di una proposta di legge costituzionale (e l'articolato dov'è?) con diversi livelli di governo, che dovrebbero essere - speriamo mai! - propedeutica alla "Grande Riforma". La partenza era lo studio del 1999, riutilizzato l'estate scorsa, quando la Valle d’Aosta risultava tout court soppressa a beneficio della nascita di una "Regione nuova" con un bizzarro accorpamento con le Province di Vercelli e Novara (si erano dimenticati che c'era - di mezzo - la Provincia di Biella, avendo forse una vecchia… carta geografica). Sfuggiva poi dove sarebbe stato il capoluogo, "centro di gravità permanente" di questa stranezza. Ora la novità - dopo le vivaci reazioni dei valdostani - è che la Regione resta e questa è la buona notizia. Così viene motivata la scelta: «Seppure di debole armatura urbana, la morfologia, i caratteri culturali e linguistici, le potenzialità di ulteriore valorizzazione turistica ne sostengono l'identità. La regione costituisce un bacino naturale omogeneo e unitario sotto molteplici punti di vista e, nonostante una popolazione di poco superiore ai 120.000 abitanti e l'ipotesi di saldatura con la regione torinese, con la quale è connessa da un sistema infrastrutturale e gravitazionale, la sua già consolidata vocazione come importante "area libera" per la valorizzazione turistica e ambientale, consigliano di tenerla ai margini dagli assi portanti dei sistemi confinanti. Si tratta, infatti, di funzioni di interesse prioritario a livello nazionale». Fantastica - avete letto? - la motivazione: restiamo Regione perché siamo «un interesse prioritario a livello nazionale». Verrebbe da dire che sfugge il valore storico e fondante della nostra autonomia e di quel termine "particolarismo", cui noi diamo una valenza positiva. La cattiva notizia è una strana relazione, annessa allo studio, denominata appunto: "Revisione del Titolo V, Parte seconda della Costituzione" . Cito qualche passaggio: "sul piano dell'assetto territoriale del Paese, risulta indispensabile ridisegnare gli attuali confini regionali, ripartendo il territorio repubblicano in 36 nuove regioni, individuate secondo criteri geografici, demografici, culturali, infrastrutturali e sociali. Si tratta di territori omogenei e pensati prescindendo dalle consolidate suddivisioni amministrative provinciali e regionali, idonei a diventare i centri propulsori di una nuova gestione amministrativa della cosa pubblica, oltre che strumenti per l'edificazione di un rinnovato patto di cittadinanza. Competitività, sostenibilità ambientale e innovazione socio-culturale rappresentano i nuovi asset strategici su cui si fonda la proposta di riorganizzazione territoriale". E ora tenetevi forte: "Sotto altro versante, si vuole abolire ogni forma di specialità regionale, con la conseguente abrogazione dell'art. 116 della Costituzione. Le Regioni a Statuto speciale sono sorte infatti in ragione di particolari contingenze storiche e socio-culturali che oggi si ritengono oramai superate, non essendo più giustificabile una così diversa e privilegiata distribuzione delle risorse rispetto a quella che caratterizza le Regioni a Statuto ordinario". Insomma, tutti uguali al ribasso, ma non basta. Eccoci ad altre proposte per fare "carne di porco" del regionalismo: "Ulteriore necessario intervento riguarda la distribuzione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni. Sin dalla riforma realizzata con l. cost. n. 3 del 2001, la giurisprudenza costituzionale ha reso evidente lo scollamento esistente tra il testo costituzionale e la realtà concreta, come dimostra l'interpretazione fornita negli ultimi dieci anni all'art. 117 della Costituzione: questa norma, infatti, raffigura un insieme multiforme di materie dai confini incerti, quasi sempre allocate in capo allo Stato, con pochi e secondari ambiti di residualità riservati alle Regioni. Sì che la clausola da Stato federale - in un sistema che federale non è - contenuta nell'art. 117, co. 4, della Costituzione, è rimasta sostanzialmente un contenitore vuoto. Indubbiamente, già il testo della riforma del 2001 si mostrava di per sé carente: prova ne è che il giudice delle leggi abbia dovuto supplire alle lacune in esso presenti, invocando - quando in modo espresso, quando implicitamente (si pensi, ad esempio, alle competenze trasversali o alla chiamata in sussidiarietà) - quel limite di merito identificato con l'interesse nazionale, che era stato colpevolmente dimenticato dal legislatore costituzionale del 2001. In tale ottica, al fine di ridurre il contenzioso costituzionale e restituire coerenza al sistema, si è ritenuto opportuno rovesciare nuovamente il criterio della residualità, individuando - come accadeva nel previgente Titolo V - un insieme di materie di competenze concorrenti (sia pure più corposo che nel passato) e devolvendo le restanti materie alla competenza statale, fatta salva la possibilità di delega alle Regioni da parte dello Stato. Accogliendo la nota "dottrina delle norme cedevoli", si è pensato di demandare alle leggi cornice statali la determinazione, oltre che dei principi fondamentali delle materie, anche della relativa normativa di dettaglio: i primi restano inderogabili dalle norme regionali; la seconda è invece cedevole e, pertanto, spiega la propria efficacia sino al momento in cui le Regioni non decidano di esercitare le proprie attribuzioni. In questo modo si intende risolvere l'annosa questione dei possibili vuoti normativi nei tessuti regionali, vuoti che si creerebbero qualora lo Stato si limitasse a fissare i principi fondamentali delle materie e le Regioni fossero inerti rispetto alla predisposizione della necessaria normativa di dettaglio. Si è poi ridefinito l'istituto del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione…". Basta, basta, per favore! Raramente ho visto un concentrato così evidente di banalità, che poi nascondono un solo disegno: mortificare le autonomie regionali a vantaggio dello Stato imperante. Lo si poteva dire in una frasetta e senza far lavorare apprendisti stregoni, costituzionalisti in erba.