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13 lug 2012

L'inspiegabile rassegnazione

di Luciano Caveri

Gli avvenimenti di questi ultimi anni, così come in una sorta di concentrato esemplare dimostrano i fatti delle ultime settimane sino all'apoteosi della "spending review", sono la rappresentazione evidente della forbice italiana fra il "dire" e il "fare". Nel 2001, quando venne riscritto il Titolo Quinto della vigente Costituzione sulla democrazia locale, l'aria pseudofederalista dell'epoca sortì - e io seguii passo a passo il confronto - quell'articolo 114 che così recita: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento".   Per disinnescare il potenziale eversivo del leghismo quella riforma di allora mirava a spingere il regionalismo verso orizzonti nuovi. L'articolo citato ne è un esempio: un federalismo all'italiana che, a parole, ricostruisce la Repubblica partendo dal basso e salendo verso l'alto. Noterete che lo Stato viene issato in cima ma sulle spalle di una Repubblica delle autonomie. Quella riforma costituzionale, che io non votai perché non risolse il problema della previa intesa per dare un fondamento giuridico davvero pattizio alle autonomie speciali come la nostra, restò in buona parte "lettera morta" e anzi l'"indietro tutta" è fenomeno evidente che ha assunto proporzioni impensabili negli ultimi mesi. Siamo ormai, sull'onda della crisi economica e di una lunghissima campagna sugli sprechi delle Regioni (che in certi casi se la sono davvero cercata), ad un passaggio decisivo verso non solo l'affermazione di un centralismo pericoloso perché non corrispondente ad uno Stato centrale autorevole ed efficiente, ma siamo ad un'azione di smantellamento dell'autonomia comunale e regionale (sulla chiusura delle Province sono da sempre favorevole). Sarebbe ora che a questa deriva della democrazia proprio Regioni ed Enti locali rispondessero con forza e non con quella sorta di inspiegabile rassegnazione che oggi si registra, come se questa eutanasia politica in corso fosse qualcosa di ineluttabile.