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06 nov 2010

Di generazione in generazione

di Luciano Caveri

Mio papà, nel mio pensiero, non si trova nella tomba di famiglia e questo vale per tutte le altre persone care che non ci sono più e che non sono imprigionate nel fazzoletto di terra della loro sepoltura. La tomba è un simulacro, che pure rispetto e onoro e aggiungo che i cimiteri pieni di gente, in questi giorni dedicati al ricordo, mi confermano la forza di quel senso di comunità che è insostituibile. C'è in un cimitero, a dispetto della morte, una grande vitalità, riassunta proprio nei fatti della vita, che ricordiamo con le nostre visite e con quel quel passaggio di "testimone" di generazione in generazione che c'è nella successione. Il culto antico dei morti è segno dell'affermarsi dell'intelligenza umana e della capacità di ragionare sul "dopo di noi". Penso che la scelta dell'autunno, come stagione delle rimembranze, non sia stata per nulla casuale: colori, atmosfere, nuvole, nebbie, luci, odori, intimità... Ma io sento che i "miei" morti non sono lì nei cimiteri. Sono liberi nei miei pensieri, perché i luoghi dell'esistenza quotidiana parlano di loro e i ricordi sono un insieme inesauribile. Scriveva Victor Hugo: "Les morts, ce sont les cœurs qui t'aimaient autrefois! C'est ton ange expiré! C'est ton père et ta mère! Ne les attristons point par l'ironie amère Comme à travers un rêve, ils entendent nos voix".