Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
02 apr 2010

Combattere certi alibi

di Luciano Caveri

La notizia è di quelle che dimostrano a che punto sia giunto ormai il dibattito sui problemi dell’immigrazione in una società multietnica come la nostra, tema che rappresenterà - nel nome dei principi del diritto - la vera sfida per il futuro se vogliamo che il processo d'integrazione funzioni. Citiamo testualmente l’inizio di un articolo pubblicato in queste ore, che chiarisce come a parlare debbano essere in primis le leggi: "Les députés belges ont adopté mercredi en commission un projet de loi interdisant le port du voile intégral, y compris dans la rue. Le texte, qui ne parle pas explicitement de burqa ou de niqab, prévoit que les personnes qui "se présenteront dans l'espace public le visage masqué ou dissimulé, en tout ou en partie, par un vêtement de manière telle qu'ils ne soient plus identifiables" seront punis d'une amende et/ou d'une peine de prison de un à sept jours. L'"espace public" désigne ici l'ensemble des rues, chemins, jardins publics, terrains de sports ou bâtiments destinés à l'usage du public où des services peuvent lui être rendus". Ci tengo a dire quanto sia d'accordo con questa posizione.

Il relativismo culturale ("concezione secondo la quale gli elementi di una data cultura vanno compresi e valutati nell'ambito del gruppo sociale a cui essa appartiene. In tale prospettiva non si può più considerare una data cultura superiore o inferiore a un'altra (ad esempio, quella occidentale), ma semplicemente diversa") deve avere dei limiti ragionevoli senza mai scadere nell'inverso che è l'etnocentrismo (l'etnocentrismo è la tendenza a giudicare le altre culture ed a interpretarle in base ai criteri della propria ed a proiettare su di esse il nostro concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo, di benessere), ma evitando quella specie di rinuncia ai diritti e doveri che fondano lo Stato di diritto a cui si deve rifare il nostro senso di cittadinanza e di comunità. Ciò vale in particolare per quei diritti della donna che non possono essere calpestati nel nome della diversità e soprattutto con la motivazione speciosa «che sono le donne a chiederlo», come se in certe circostanze potessero davvero sceglierlo e comunque anche se potessero chi vive nella nostra società occidentale deve sottostare a regole comuni. Ciò non viola il caposaldo del rispetto delle libertà religiose che sono costituzionalmente garantite in Italia e nell'Unione europea, ma si fissano appunto paletti di buon senso per evitare che tutto possa, come dicevamo, finire nella rete protettiva della diversità culturale. Altrimenti tutto potrebbe diventare legittimo. Il Parlamento belga indica una via logica e legittima.