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28 feb 2010

Sanremo per ridere

di Luciano Caveri

Che cosa spinge una persona a guardare il "Festival di Sanremo"? Se l'Auditel ha ragione - e comunque sui meccanismi di rilevazione nutro forti dubbi nella corrispondenza fra campione e realtà  - milioni e milioni di persone lo hanno fatto e suppongo che ciò avvenga con diverse motivazioni. Credo di poter dire che la mia generazione, cresciuta con l'appuntamento annuale con il Festival, lo fa con una logica di voyeurismo: per una volta si diventa tutti un pò sociologi, un pizzico psicologi, un tantino esperti di moda e di canzoni. Perché la molla è quella di farsi delle grandi risate con la presentatrice oversize che intervista i personaggi internazionali con domande da bambina dell'asilo; perché si ride di cantanti "big" sconosciuti che cantano canzoni improponibili per non dire di chi palesemente stona; perché hanno messo insieme coppie da incubo: penso a Pupo ed Emanuele Filiberto che neppure il dottor Frankenstein avrebbe affiancato per un motivetto nazionalistico furbesco, aborrito persino dall'orchestra in sala!; perché i rischi enormi di manipolazione del cosìdetto televoto si sono mostrati dal vivo nelle contestazioni fra gli esiti e la sensibilità degli spettatori all'Ariston. Sanremo, finché durerà, resta una colossale occasione per sghignazzare in compagnia di fronte alla televisione.