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26 nov 2009

D'Alema

di Luciano Caveri

Immagino che Massimo D'Alema sarà gelidamente arrabbiato. La "trombatura" al posto di "Ministro degli Esteri" dell'Unione europea è stata una vigliaccata, perché la sua candidatura ha nascosto manovre e manovrine. Per l'Italia - personalmente credo - ciò varrà, tra un annetto, un posto in Europa per Giulio Tremonti, di cui Silvio Berlusconi, se all'epoca ancora ci sarà (tutto porta a pensare il contrario), ha voglia da tempo di liberarsi. D'Alema si porta dietro la fama di "antipatico". Chi lo conosce, come penso il sottoscritto, che è stato Sottosegretario in un suo Governo, non può smentire quella vena di sarcasmo freddo che dà la scossa. La prima volta che l'ho conosciuto ero un giovane deputato e lui Capogruppo del suo partito: gli chiesi il voto su di una legge importante per la Valle, dopo aver premesso che gli avrei rubato trenta secondi. E lui, mentre io parlavo, scandiva «1,2,3...», facendo il contasecondi. Roba da strangolarlo. Ma poi, nei diversi incontri e nelle molte occasioni di lavoro comune, ho apprezzato la stoffa. Ricordo quando si riunì a Palazzo Chigi la "Conferenza Stato-Regioni dell'arco alpino" e lui, ad una riunione che presiedevo io, arrivò inaspettatamente nella "sala Verde" e, andando "a braccio", disse delle cose sulla montagna che mi lasciarono di sasso, mostrando uno spessore su di un tema che pensavo gli fosse estraneo. Se così è, viva gli "antipatici".