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20 nov 2009

La stanza segreta

di Luciano Caveri

«Elezioni anticipate!». Nelle mie quattro legislature a Montecitorio (due complete, un record!) questo refrain era un classico per ricompattare le fila quando i mugugni si facevano troppo forti. Le elezioni, per chi faccia politica, sono sempre un incubo e va detto che l'attuale sistema di voto per le elezioni politiche in Italia, dando tutto nelle mani dei partiti o meglio dei leader, è talmente un terno al lotto da preoccupare anche il parlamentare più scafato. A toglierti dalla lista basta un batter di ciglia non contando più un fico secco le preferenze.

Così anche in questa legislatura emerge il babau delle elezioni anticipate come sordina alle instabilità e, in questo caso, come necessità per Silvio Berlusconi di trovare un escamotage che gli eviti una condanna penale che gli farebbe perdere Palazzo Chigi e, in prospettiva, gli impedirebbe la candidatura. In nessuna democrazia di quelle occidentali, non mi riferisco al Terzo mondo, questo sarebbe concepibile, ma viviamo ormai in una sorta di narcosi collettiva, per cui pare che tutto e il contrario di tutto sia possibile. Non solo nessuno si indigna, ma nelle discussioni da bar o da cena emerge sempre un filogovernativo che spiega che dietro tutto, cioè dietro le presunte persecuzioni a "Berlusca", ci sono i "comunisti". Tra qualche anno tutta questa cronaca politica sarà storia, per cui finalmente usciremo dalle dispute da cortile e rileggeremo questo periodo con diversa serenità. Personalmente non mi riconosco più in nessuna partigianeria: cerco di ragionare con la mie testa e forse un giorno verrà in cui a reagire saranno quelli che i latini chiamavano i "meliores", cioè quelli - modernizzando l'espressione - tengono ad alcuni valori democratici e sono stufi di schieramenti e personalismi, essendoci in cima alla lista l'interesse comune. Forse sono un illuso a pensarlo. Magari davvero la deriva populista della democrazia è un'evoluzione naturale, spinta da una forbice crescente fra decisori e cittadini, di cui questi ultimi, con un crescente disinteresse e una viva catatonia, finiscono per essere i veri responsabili. La cittadinanza, interpretata come coscienza di diritti e doveri, è una rottura di scatole e l'opinione pubblica - come concepita e studiata dai politologi - funziona se non è massa amorfa e credulona. Chissà che in fondo al tunnel, senza entrare nel giochino qualunquista «sono tutti uguali» che serve proprio all'affermarsi delle dittature, non ci sia una lucina accesa, come una stanza segreta dove - disposti come volumi in una libreria - ci sia quel patrimonio di idee e valori che oggi, tante volte, sembrano scomparsi.