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03 ott 2009

Un'altra vita...

di Luciano Caveri

E’ un pensiero che credo sia venuto a tutti e lo si risolve a seconda dell’età. Da bambino può essere un pensiero angosciante, guardando nelle foto il pancione gonfio dei bambini scheletrici dell’Africa o i bimbi soldato di quello stesso Continente, oppure da adulto l’esercizio può essere un semplice divertissement, come mettersi nei panni di un emiro arabo, magari alle prese con un harem oppure - più terra a terra - immaginare di essere il vincitore del "Superenalotto". Il fil rouge sta nella domanda: e se fossi nato altrove?

Da questa domanda si sviluppano una serie di opzioni di vita, esaltate da chi, fra i propri amici, crede nella metempsicosi e quindi nell’esistenza di vite precedenti. Esercizio in cui io stesso sono caduto, preferendo naturalmente preesistenti vite umane magari nei panni di un capitano di ventura o di un sacerdote maya, considerando disdicevole essere stato un garofano o un pezzo d’ossidiana per non pensare a peggiori sorti tipo scorpione o escremento. L’altro giorno guardavo per le strade di Zanzibar, in Tanzania, le loro mucche con la gobba costrette a trascinare dei carrettini con gran fatica e vedere trottare i bovini fa sempre qual certa impressione. Sarà l’approssimarsi della finalissima della bataille, ma è pur vero che solo da noi, forse con l’ eccezione delle mucche sacre in India e di quelle di proprietà mafiosa nel Sud d’Italia che pascolano dove cavolo vogliono, le mucche diventano oggetto di culto e sono autentiche regine. Consiglio di guardare con attenzione, nei primi piani della televisione in occasione dei combats finali, l’occhio da psicopatiche delle vincitrici. Il loro senso del dominio della mandria, come sanno bene gli allevatori, deriva da un’attitudine autoritaria, che è frutto anche di complessi scompensi ormonali che le rendono dominatrici. Mentre altrove, come in Spagna con le celebri corride ma anche nella curiosissima bataille che impiega i tori in una località portoghese (di cui mi parlò un collega al Parlamento europeo, stupito che da noi combattessero le femmine!), i protagonisti sono indubitabilmente al maschile, con il corollario di machismo che fa gongolare chi sente dare dalla propria partner del "toro", da noi invece i tori sono povere comparse, neppure invitati alla Croix Noire. Ricordo il mio povero papà, impegnato come veterinario nella fecondazione artificiale (che servivano a battute salaci, anche in tarda età, sulla sua prestanza), come mi raccontasse della monta tradizionale (cui assistetti da bambino in un’educazione sessuale più efficace di quella che mi venne impartita a scuola da don Giacomo) e anche dell’uso iniziale, al "Centro tori" di Gressan, di una sorta di fantoccio che il toro - compreso nel ruolo della mascolinità per antonomasia - aggrediva con appetito, trovandosi ingannato nel rilasciare il proprio prezioso liquido seminale. Poveraccio, vittima di un ingannevole "peep show". Conosco alcuni esponenti delle "cause perse" che potrebbe creare un apposito Comitato, fare una raccolta firme e magari una petizione al Consiglio Valle sull’argomento. Propongo anche un sito Web, magari con salaci caricature che si rifacciano alla fisiognomica più brutale. Politicamente corretto potrebbe essere l’adozione a distanza di una mucca tanzaniana attraverso l’aiuto del fiero popolo dei Masai. Sul piano locale, con un megaschermo in un prato, una selezione di tori autoctoni territorialmente significativa, potrebbe assistere alla finalissima e trepidare - finalmente coinvolti nel nome del principio di parità - sull’esito finale dei combattimenti.