Filtri
La navigazione sul Web ha i suoi pericoli. Lo sanno bene i genitori che si attrezzano con filtri che evitano ai figli di finire chissà dove e di incontrare in Rete chissà chi. Vale forse la regola di dir loro che il computer, essendo specchio del mondo reale, comporta rischi.
Anche il settore pubblico, dove ormai l'accesso alla Rete è considerato un diritto per tutti (anche chi, francamente, non si sa cosa se ne faccia), si pone il problema dei filtri.
In Consiglio regionale non riesco a far liberalizzare YouTube, che mi dicono sia attualmente monitorato (ci sarà un "Comitato etico"?) per vedere che non ci sia nulla di sconveniente, mentre con giubilo è stata annunciato libero accesso a Facebook, che per chi lavora, mi pare una fantastica tentazione di evasione.
Il Filtro, che merita la maiuscola, denota scetticismo verso le scelte della Giunta: "Alpinfo", agenzia d'informazione transfrontaliera, pur fra i link del sito della Regione, in Consiglio cade vittima della censura per contenuti "delicati".
Spogliarelliste vallesane, animalismo in Savoia, sadomaso nel Canavese? Attenti al Filtro!
- luciano's blog
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Commenti
Filtro o antivirus?
scusa ma non capisco se auspichi un potente antivirus per contenuti "delicati" o un filtro che dia la possibilità (ai dipendenti regionali?) di accedere solo a siti ritenuti validi dalla Regione?
No
Osservavo come i filtri siano utili, ma quelli automatici del Consiglio sono fessi.
Internet...
sul posto di lavoro è utile.
Esempio: sono al "Parini" e un medico mi ha prescritto un farmaco. Legge che sono intollerante ai latticini. Il prontuario non riporta le informazioni necessarie. Gita sul web e riscontro della composizione.
Abbiamo ancora molte remore e inefficienze sull'uso di questo mezzo come "strumento". Più che altro è visto come divagazione o ricerca di zone ludiche... più o meno.
Do Androids…
Potere delle invenzioni e del loro agire indisturbato sulla psiche umana. Dieci anni fa, sentivi parlare di filtri e le prime tre cose che ti venivano in mente erano olio, aria e Alfa Romeo. Oggi, allo scoccar dello stesso vocabolo, nel cervello si materializzano, in sequenza, signorine compiacenti in grado di far arrossire Eva intenta a mordere la mela, militari asiatici impegnati ad infierire in dieci su un pacifista minorenne, usando manganelli più lunghi di lui, e filmati dall’incredibile spessore scientifico quali “Mentos e Coca – Explosion like missile to Pincio (Rome)”, che dopo averli visti ti chiedi come il “National Geographic Channel” abbia osato lasciarli in pasto a “Youtube”. Al di là di ciò la cui consultazione (o download) costituisce reato (per cui esiste un sacrosanto principio di responsabilità individuale), nelle Amministrazioni pubbliche il dibattito è aperto da tempo. Quanto, di tutto questo bendidio, è da lasciare visibile ai dipendenti e quanto è da “oscurare”, poiché “sconveniente” per la morale, o più venalmente per evitare che chi siede dietro una scrivania si distragga oltre il tollerabile? La decisione, se valutata con serietà, è tutt’altro che semplice, poiché attiene in misura diversa a un mix esplosivo di regolamenti, buon senso e privacy. A renderla più complicata, oltretutto, concorrono alcune sentenze in stile squisitamente italiano. Per ovviare a cotanta assunzione di responsabilità, qualche mente illuminata ha inventato ciò che trae d’impaccio qualsiasi funzionario di Sistemi informativi (e che, nove volte su dieci, fa la ricchezza di chi carica i contenuti “disdicevoli”): i filtri. Già il nome suona rassicurante. Li installi e tutti i problemi, etici, di efficientismo, o vai a sapé cos’altro, spariscono magicamente. Fanno loro e, siccome quando uno non vuole responsabilità, non deve poi un domani trovarsi a ripensarci, aggiornano perfino, in completa autonomia, la lista delle nefandezze da bloccare. Piccolo problema, cui nessuno pensa mai a sufficienza prima di comprarli e adottarli: sono da configurare. E se il dilemma su cui Philip K. Dick ha costruito “Do Androids Dream Of Electric Sheep” (libro in cui affonda le radici il film “Blade Runner”) ha insegnato qualcosa, l’operazione deve compierla, anche limitandosi a sovraintendere all’installazione, un essere umano. La conseguenza è lo sconfinamento in paradossi per cui Kafka sta alla letteratura come “La Poliziotta” ai fumetti. “YouTube” (che peraltro esercita già una selezione endogena del materiale pubblicato dai suoi utenti) non passa, mentre “Facebook” (landa ove non mancano i perdigiorno ansiosi di scoprire quanto il seno di una ex compagna di scuola mai più incontrata da quindici anni abbia lasciato in mancia ad Einstein) sì. E perché? Per il semplice fatto che colui che installa i filtri è fatto di carne ed ossa e di norma, oltre a provare un fastidio epidermico per le responsabilità, odia pure le scocciature. Pertanto, nel conto va messo anche che uno, o più, suoi superiori possano essere iscritti a “FB”, vantando magari un numero di “amici” (chi ha coniato questa definizione è, tra l’altro, un vero genio del male, poiché ha sminuito incredibilmente le amicizie reali) superiore a quello delle amanti di Rodolfo Valentino. L’evenienza è tutt’altro che sporadica. E’ infatti notizia di ieri che “Facebook”, con i suoi 175 milioni di utenti attivi, rappresenta la sesta “nazione” al mondo in termini di popolazione. Un mese fa, il suo inventore scriveva tronfio che se il social network da lui creato fosse stato un Paese, avrebbe superato Russia e Giappone. Oggi, di fatto, ha scavalcato pure Pakistan e Bangladesh. Siamo sinceri: la guerra fredda è ormai roba da film in bianco e nero, l’impegno di Obama a ridurre ulteriormente gli armamenti nucleari è tra le priorità del nuovo presidente e Daniela Martani ha perso la battaglia contro la Cai. Sinceramente, da soli, dietro a una scrivania, dichiarereste guerra a un colosso del genere?