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26 apr 2024

Il gioco del “se fossi”

di Luciano Caveri

Chissà se capita anche a voi di pensare alla propria vita, immaginando scenari diversi da quelli che si sono sinora realmente vissuti

C’è quel gioco al quale abbiamo giocato tutti del “se fossi”. Lo ricordate? “Se fossi un fiore.... sarei...; Se fossi una canzone.... sarei...: Se fossi un periodo storico.... sarei...: Se fossi una città... sarei...;Se fossi un libro... sarei...”. E avanti così con combinazioni di fatto infinite. Allora talvolta mi chiedo: se fossi rimasto giornalista e non avessi intrapreso, più per elementi di casualità che per scelta ricercata, un percorso dimostratosi lungo in politica cosa ne sarebbe stato di me?

Certo la storia, compresa quella personale, non si fa con i se e con i ma, però la tentazione di provarci esiste. Dunque, giocando al “se”, penso che avrei fatto il giornalista televisivo a tempo pieno, arrivando chissà dove e questo proprio non lo posso sapere, avendo come vantaggio di partenza della giovane età di quando cominciai e di una passione vera che mi è rimasta intatta e che ho potuto esprimere meno di quanto pensassi agli esordi (per inciso tornato in Rai in una pausa sabbatica la scelta aziendale fu scientemente di non voler utilizzare le mie conoscenze). Tutto questo pensiero arzigogolato per dire che seguo con interesse il destino della RAI, che è stato il mio lavoro “vero” (oggi sono in pensione), visto che la politica è per sua natura effimera e a termine in qualunque momento nell’affrontare le forche caudine delle elezioni periodiche.

Ho visto nel tempo decadere e me ne dolgo il servizio pubblico radiotelevisivo in cui credo profondamente in un mercato che pure dev’essere aperto e pluralista e che come tale ho visto nascere con la fine del monopolio sin dagli anni Settanta. Ora mi pare che si sia ad una svolta, che ancora non si capisce bene dove porterà, ma è bene non distrarsi. Leggo spesso con curiosità chi scrive della Televisione. In un passato remoto lo facevo su L’Espresso con il bizzarro Sergio Saviane, cui si deve il termine “mezzobusto” per definire il conduttore del Telegiornale (che io sono stato), ora leggo Aldo Grasso sul Corriere altrettanto corrosivo.

Ma non manco Giorgio Cappozzo su Internazionale, che in una delle sue recenti rubriche indica una strada che forse si è imboccata. Così scrive: “Un lungo tappeto rosso attraversa l’oceano televisivo. I passi di Amadeus si succedono veloci mentre saluta il suo pubblico. Altri conduttori sono pronti a seguirlo su quel red carpet immaginario che fugge verso il nuovo mondo. La Mayflower abbandona la vecchia Europa di viale Mazzini per salpare verso l’America della Warner Bros, editore privato “puro” con tanti soldi e senza i lacciuoli della politica. Un’America che in futuro forse tornerà in Europa per liberarla o per farne avamposto militare o tutte e due. Intanto una cosa sappiamo: la fuga non è dalla Rai ma dal servizio pubblico, quella cosa che a forza di citarla è diventata una materia vuota. Che non scatena più alcuna emozione, figurarsi senso di appartenenza. Certo, le guerre di religione, gli interessi particolari dei vari casati, la carestia di prodotti e le febbri gialle non aiutano a compattare il vecchio continente e a trattenere i nuovi pellegrini, in passato un po’ osteggiati ma non certo perseguitati. Eppure ci sarà da qualche parte un piano, un progetto, un calcolo anche strampalato che s’aggira tra le menti dei governanti rimasti a presidiare il primo mondo e che giustifichi questa impasse? Ho un timore che non vorrei avere perché ha il puzzo del complottismo e il cliché del retropensiero maligno, sebbene suffragato da chili di titoli e dichiarazioni che ultimamente, da destra e da sinistra, si sono succeduti su giornali e tv, e che si chiama privatizzazione”.

Lo stile è interessante, suggestiva la ricostruzione. Forse in effetti si vuole smontare il servizio pubblico e fa sorridere il fatto che la major americana sembri, in barba all’antiamericanismo di certa Sinistra contro gli “yankee”, la terra promessa per conduttori e giornalisti…progressisti con Fabio Fazio a fare da lepre verso quella che sembrerebbe essere per alcuni una sorta di Arca di Noè.

Affaire à suivre, come si dice.