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24 lug 2022

Draghi defenestrato

di Luciano Caveri

Sarò breve, perché in questi lunghi anni di politica ho spesso scritto sulla perenne crisi politica italiana e ripetersi sarebbe un esercizio inconcludente. Ho finito le energie per indignarmi e questo non significa affatto rassegnazione, ma la constatazione che esiste una caratteristica distruttiva insita in questa Repubblica, che persino peggiora nel tempo, come se fosse una maledizione che non si riesce a risolvere mai. So bene che in politica si pratica il cannibalismo. Non è una novità. E Mario Draghi è l'ultimo a finire nel pentolone, cotto e mangiato senza pietà e senza tenere conto dei tantissimi - me compreso - che ritenevano logico in mezzo a mille emergenze che restasse in sella.

Ma tante ragioni persino divergenti fra loro hanno creato la tempesta perfetta e così nel cuore dell'estate il Parlamento stacca la spina, infischiandosene del quadro nazionale, europeo ed internazionale. Moltissime saranno le lacrime di coccodrillo e forse sono persino meglio gli stupidi di vario colore che festeggiano e di quelli che sono in arrembaggio verso le urne, che poi come sempre potranno sortire grandi sorprese. Max Weber diceva e direi che è inascoltato in Italia da molti che in queste ore hanno affondato il Governo: «Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l'uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza». Mario Draghi non è Superman, ma oggi è quanto di meglio si poteva immaginare. Lo scrivo conscio di due aspetti: il primo è che il presidente del Consiglio non si è dimostrato un regionalista e molti esempi concreti lo possono dimostrare. Spicca la vicenda di un "Pnrr" rigidamente centralistico e per nulla efficiente nella sua logica accentratrice con bandi spesso paradossali. La seconda è che la scelta dei ministri, molti dimostratisi dei "Giuda" specie nei confusi e autolesionisti "pentastellati", non erano all'altezza del Capo, che pur autorevole ha ceduto alla continuità con il Governo Conte ed ha messo in squadra dei brocchi. Inutile certo piangere sul latte versato e ora vedremo il copione del Quirinale, che penso sfocerà in elezioni anticipate, le ennesime in questa Italia che sembra farsi del male come sport nazionale. Non ci resta - lo dico scherzosamente - che piangere. Chissà che questa sciagura non convinca gli autonomisti valdostani ad accelerare il processo di integrazione che sembra ogni volta partire, ma poi il serbatoio del gioioso pullman sembra a secco. Meglio fare il pieno, anche se oggi costoso, e partire, perché gli appuntamenti e non solo quelli elettorali sono importanti. E il clima per le Regioni a Statuto speciale potrebbe essere tra breve assai pericoloso ed è indispensabile che gli autonomisti sappiano ricordare il loro ruolo essenziale. Ma bisogna essere seri e persuasivi con i valdostani, che altrimenti - come talvolta hanno fatto - inseguiranno inutili sirene. Decidere su questo tema. Come scrisse Piero Calamandrei e spero che il vizio non abbia invaso la Valle d'Aosta: «Il rinvio, simbolo della vita italiana: non fare mai oggi quello che potresti fare domani. Tutti i difetti e forse tutte le virtù del costume italiano si riassumono nella istituzione del rinvio: ripensarci, non compromettersi, rimandare la scelta; tenere il piede in due staffe, il doppio giuoco, il tempo rimedia a tutto, tira a campà».