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06 giu 2022

Le grandi questioni

di Luciano Caveri

Seguo con crescente apprensione e compartecipo con qualche costernazione alla lunga via crucis che dovrebbe portare ad una maggioranza solida che consenta di arrivare in Valle d'Aosta sino alla fine della Legislatura. Qualunque scelta si faccia - anche se alla fine le strade sono due - lacerano quel che resta dei partiti e la ricerca di una linea comunque sembra in certi passaggi impossibile e crea fratture che non saranno ricomponibili in fretta. Eppure non esiste in una democrazia alternativa ai partiti o come li si voglia chiamare. La Costituzione italiana afferma all'articolo 49 "il diritto dei cittadini "ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica". I partiti sono, quindi, libere associazioni utilizzate dai cittadini come strumento di esercizio della sovranità popolare. Bene ricordare che formule diverse non ce ne sono, compresi gli uomini "della Provvidenza", che è altra cosa dai leader.

Ma oggi i partiti sono tutti ridotti al lumicino con poche risorse umane ed economiche rispetto al passato e sembrano aver perso quella logica di "lievito" che faceva crescere i propri aderenti e compartecipava alla crescita delle comunità di riferimento, certo nello scontro delle diverse posizioni interne e con riferimenti culturali che li posizionavano differentemente sulle scacchiere politico in una dialettica fra loro. Ieri Sabino Cassese sul "Corriere" indicava un cammino: «Nascono nuovi bisogni, che vanno interpretati, sui quali la politica deve riflettere e formulare soluzioni, aggregare consensi, stabilire alleanze. Ed è questo che manca alla forma partito di oggi: vigore intellettuale nell'interpretare bisogni e sentimenti, e poi capacità di costruire intorno ad essi programmi e progetti, preparandosi a gestirli. Dei partiti c'è bisogno, perché non vi è altro modo con il quale la società possa dialogare con il governo, la piazza farsi ascoltare dal palazzo. Ma i partiti debbono ridiventare forze vive, uscire dagli schemi consueti e interrogare la nuova realtà, intercettare una domanda di politica tanto viva quanto insoddisfatta, selezionare nuovo personale, fare programmi, individuare chi sappia tradurli in realtà». Chi ha vissuto, come me, le traversie dell'Union Valdôtaine e ne conosce la storia anche per motivi familiari ed ha scelto il dolore di doversene andare quando l'aria si era fatta irrespirabile, ritiene come non mai che una riaggregazione del mondo autonomista nella stessa casa sia una conditio sine qua non, che deve passare attraverso uno sforzo comune. Si potrebbe usare la solita formula stereotipata «per il bene della Valle d'Aosta», se non fosse diventata il rifugio di molti che hanno adoperato l'Autonomismo come un autobus su cui salire e scendere a piacimento. Ma alla fine il "bene comune" sarebbe la necessità da perseguire, cui si è contrapposta in questi anni la divisione per fondate ragioni in parte rimosse o da rimuovere. Bisogna rispondere con lo sforzo di ritrovarsi e questa è la priorità che obbliga a trovare ora una soluzione alla mancanza di una stabilità che dia respiro alla soluzione condivisa. Questo a causa anzitutto e al di là delle formule possibili dalla sfilza di problemi esistenti da risolvere. Invece si traccheggia con rispettabili discussioni ideologiche e veti incrociati che fanno del male a tutti. Sarebbe bene guardare alle grandi questioni: dal gelo demografico al caldo del cambiamento climatico, dal futuro del settore idroelettrico alle grandi infrastrutture come il nuovo ospedale, dalla reindustrializzazione (con il nuovo "caso Cogne") ai fondi comunitari da spendere, dalla sanità da rafforzare all'applicazione dello Statuto speciale, dal turismo essenziale all'aiuto contro i rischi di povertà. E potrei continuare a declinare le necessità, le emergenze, ma anche i grandi disegni possibili. Ma bisogna avere consapevolezza che per farlo ci vuole un terreno solido e non ballerino su cui poter contare e il mondo Autonomista, per la sua credibilità, deve scegliere in fretta come farlo. Altrimenti ne pagherà in futuro le conseguenze.