Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
02 mag 2022

Povera cariatide…

di Luciano Caveri

Ogni tanto ne capitano di belle e vale la pena di raccontarle. Sono siparietti nella vita che fanno bene allo spirito. L'altra sera, in una discussione politica di quelle in cui in assemblea si sente di tutto un po', è intervenuto nella discussione il gressonaro Stefano ed ha apostrofato i due al tavolo (uno dei due ero io!), spiegando la necessità - che per altro condivido - di dare spazio ai giovani in politica: «Per esempio voi due siete due cariatidi!». Io la prendo sul ridere, mentre chi ho vicino a me spiega di avere 46 anni e dunque di non essere proprio Matusalemme! A me ha molto incuriosito la scelta del termine per quel velo di povere che porta su di se. Ho subito escluso che la parola - anche perché noi apostrofati siamo maschietti - fosse quel "cariàtide" del XVII secolo «statua di donna, usata in luogo di colonna o di pilastro».

La parole - dice l'"Etimologico" - dal latino tardo, che viene a suo volta dal greco "donna di Carie" (città della Laconia), termine con cui gli Ateniesi indicavano le statue femminili che sostenevano gli architravi in ricordo delle donne di Carie, tratte in schiavitù perché la loro città si era schierata dalla parte dei Persiani. Ovvio allora che ci si riferiva all'altro uso: quando una persona - dicono i dizionari - "è anziana e si erge a sostenitore o rappresentante di idee retrograde e istituzioni che furono retaggio di un passato ormai superato senza rimpianto. In sintesi: un passatista". Come si suol dire: prendo e porto a casa, e pensare che con i miei 63 anni mi sentivo abbastanza arzillo e pure in grado di seguire la modernità senza stare fermo e con l'eventuale ambizione di trasferire qualche conoscenza di politica a persone come Stefano, che per altro potrebbe a sua volta migliorarmi come sciatore. Allora mi sono lambiccato su questo fatto di invecchiare e di come si possano usare, nel gioco dei sinonimi, termini diversi fra loro e la scelta delle parole appare interessante. «Vecchio» ormai sa di naftalina, «anziano» appare più politicamente corretto, «che ha un'età avanzata» piuttosto ipocrita, «attempato» è spaventoso. Se ti dicono «giovanile» vuol dire che sei vecchio... Ancora raro l'uso simpatico di «senior», untuoso appare il «vecchia volpe», «vetusto» fa persino paura. Appare tombale l'aggettivazione «anacronistico», «antiquato», «datato», «obsoleto», «stagionato». Non male aspostrofare qualcuno con «vecchio del mestiere», «esperto», «navigato», mentre «saggio» sa di pensionamento anticipato. In francese mi sono sentito chiamare «savant» e sapeva già di casa di riposo… Ovviamente spregiativi «vecchiaccio», «vecchiardo», «vecchione», «vegliardo». E' sparito il sessantottesco «matusa», resta per ridere «matusalemme». Insomma: un ampio spettro di scelta, che permette a ciascuno di definire gli altri o, quando si è «âgé» come si dice con finezza con un francesismo, sé stessi quando si supera una certa età. Resta quel che diceva Boris Vian: «La vieillesse est comparable à l'ascension d'une montagne. Plus vous montez, plus vous êtes fatigués et hors d'haleine, mais combien votre vision s'est élargie!».