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18 gen 2022

I "miei" Presidenti della Repubblica

di Luciano Caveri

Pensavo in questi giorni alla mia esperienza nel Parlamento in seduta comune per il voto per eleggere il Presidente della Repubblica o anche, in alternativa, ai miei rapporti con autorevoli inquilini del Quirinale, che ho conosciuto bene, ma non ho votato. Diventato deputato nel 1987 ho avuto a che fare, in molti incontri, con quel carattere bizzarro che fu Francesco Cossiga, che venne eletto nel 1985 e rimase sino al 1992, quando poi venni rieletto per la seconda volta alla Camera. Dopo Sandro Pertini arrivò al Quirinale quale ottavo presidente della Repubblica il sardo Cossiga, democristiano di lungo corso, ma fiero - così diceva - di certe origine sardiste e certamente legato all'esito nomina speciale della sua isola. Eletto al primo scrutinio con 752 voti su 977, il sassarese classe 1928 guidò l'Italia nel post caduta del muro di Berlino in un crescendo di interventi pubblici, che derivavano da un carattere bipolare.

Quando con il Senatore César Dujany lo incontravamo, come delegazione valdostana, o era verbosissimo o chiuso in una sorta di silenzio. Nel 1991, dopo il "caso Gladio" e la sua "autodenuncia", alcuni parlamentari promossero una messa in stato d'accusa - poi respinta - del Presidente. Cossiga rimase al Quirinale fino al 28 aprile del 1992, quando decise di dimettersi. Votai, invece, il suo successore, Oscar Luigi Scalfaro, che già conoscevo bene nel lavoro a Montecitorio. Grande oratore, democristiano anche lui di stampo conservatore, amava moltissimo, quando lo incontravamo, farsi raccontare retroscena della vita parlamentare che aveva vissuto lungo tutta la storia della Repubblica e raccontava sempre, essendo novarese, di come considerasse il Monte Rosa che fa da sfondo a quella città una montagna in comune con i valdostani. Un'elezione, la sua, avvenuta il 25 maggio 1992 con 672 voti, pochi giorni dopo la strage di Capaci, quando venimmo chiamati di corsa a votare e si scelse una candidatura istituzionale, essendo Scalfaro, presidente in carica alla Camera. Oscar Luigi Scalfaro si trovò poco dopo a dover fronteggiare anche la vicenda "Tangentopoli", che originò la fine della partitocrazia della cosiddetta Prima Repubblica. Fu coinvolto personalmente nello "scandalo Sisde" da cui si difese pubblicamente con un discorso a reti unificate. Per favorire il giuramento e l'insediamento del suo successore, in anticipo sulla scadenza del mandato, Scalfaro si dimise il 15 maggio 1999. Proprio la crisi in corso del sistema politico sotto la spinta della magistratura milanese portò al Quirinale e lo votai come deputato ormai alla mia quarta Legislatura, Carlo Azeglio Ciampi, che fu Presidente dal 1999 al 2006. Venne in visita in Valle d'Aosta quando ero presidente della Regione e fu affabile e simpatico, come lo era negli incontri di persona al Quirinale. La caratteristica principale del livornese classe 1920 era quella appunto di non provenire - come invece tutti i suoi predecessori - dal mondo della politica. Ciampi, infatti, era un banchiere che, esclusa una breve militanza nel Partito d'Azione, non aveva mai aderito ad alcun partito. Paragonato a Pertini per la popolarità di cui godeva tra gli italiani, divenne Presidente della Repubblica il 13 maggio 1999 alla prima votazione, con una larga maggioranza (707 voti su 1.010). Rimase in carica fino al 15 maggio del 2006. Fu poi il turno di Giorgio Napolitano che conoscevo benissimo, perché ci eravamo frequentati molto alla Camera specie quando ne era presidente, cementando una vera e propria amicizia, che era diventata ancora più solida quando fummo assieme parlamentari europei e ricordo l'abitudine di fare colazione assieme presto la mattina, visto che andavamo a Strasburgo durante le sessioni nello stesso albergo. Lo votai come delegato della Valle d'Aosta nel 2006 e restò al Quirinale per un due mandati, nel 2012 infatti venne rivotato - ma io partecipai al voto - per soli due anni. L'undicesimo Presidente della Repubblica venne eletto il 15 maggio con 543 voti su 990 votanti. Nato a Napoli come Enrico De Nicola e Giovanni Leone, fu l'unico capo dello Stato a essere stato membro del Partito Comunista italiano. Il 14 gennaio 2015 rassegnò le dimissioni, già anticipate durante l'ultimo messaggio di fine anno per le difficoltà legate all'età. Al termine del doppio mandato di Giorgio Napolitano, a diventare Presidente della Repubblica fu Sergio Mattarella, che non votai con vivo dispiacere, perché con lui passai molti anni nella Commissione Affari Costituzionali, conoscendolo bene ed apprezzando la sua competenza e quel tratto anglosassone fatto di umorismo e riservatezza. Ricordo quando fu relatore del recepimento della Convenzione alpina e seguì con garbo una serie di miei suggerimenti. Palermitano classe 1941 e fratello di Piersanti, ex presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel 1980, il 31 gennaio 2015 fu eletto al quarto scrutinio con 665 voti, poco meno dei due terzi dell'assemblea elettiva. Democristiano fino al 1994 (poi Ppi, Dl e Pd fino al 2008), il nome di Mattarella è legato all'omonima riforma della legge elettorale attuata dopo il referendum del 18 aprile 1993 e con la quale si sono svolte le elezioni nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Al Quirinale si è dimostrato equidistante e serio in una fase delicatissima della divisissima politica italiana, ottenendo un generale apprezzamento. Mi spiace molto di non averlo mai incontrato al Quirinale, mentre lo incontrai con piacere a Bruxelles durante una visita al "Comitato delle Regioni" quando ero presidente della delegazione italiana. Persona seria che potrebbe restare a Quirinale per dare stabilità, ma temo che sia davvero stanco del ruolo di Presidente. Si vedrà!