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07 dic 2021

Il pensiero di Scurati

di Luciano Caveri

Capisco quanto sia faticoso, con questo maledetto virus, restare così a lungo in una situazione in cui si alternano buone e cattive notizie, speranze e delusioni, dati confortanti e sconfortanti. Basta una variante - e tante ce ne saranno - e torna l'apprensione. Antonio Scurati è un geniale scrittore italiano e sono lieto di averlo letto sul "Corriere" in una riflessione sulla pandemia. Per brevità entro nel cuore del suo ragionamento: «E' necessario attrezzarci con modelli di pensiero che contemplino l'ipotesi peggiore, quella di un'emergenza sanitaria globale che, attraversata una soglia critica, diventi cronica. E' possibile che mi sbagli ma, in tutta coscienza, ritengo giusto e doveroso tenere lo sguardo fisso sull'abisso che ci si è spalancato sotto i piedi. Lo schema culturale che ha prevalso nelle interpretazioni e commenti sulla pandemia a partire dal marzo del 2020 è stato quello dei cicli di morte e rinascita. Stiamo attraversando un momento di tenebra - ci siamo detti - ma non dobbiamo disperare perché nessuna notte è infinita. La morte vendemmia nella nostra vigna. Bisogna stringere i denti, sbarrare la porta, pregare il Dio che avevamo dimenticato: la vita tornerà. Celebreremo il suo trionfo con una festa memorabile. Se l'inverno viene, non può essere lontana primavera».

«Grazie al sostegno di questo archetipo dell'umana speranza, e dell'umana saggezza - prosegue - abbiamo retto al primo, spaventoso lockdown, poi alla seconda ondata, poi alla terza. L'arrivo dei vaccini sembrò annunciare la primavera. Ora che la quarta ondata già sommerge buona parte dell'Europa, e che un volo atterrato ad Amsterdam dal Sudafrica con 61 positivi su 600 passeggeri ne annuncia una quinta, forse è prossimo il momento in cui smetteremo di contarle. Ora che la variante "Omicron" provoca una crescita vertiginosa dei contagi (e minaccia di poter aggirare i vaccini esistenti), forse faremmo bene ad attrezzarci per un lungo viaggio, un viaggio attraverso una terra che non conosca più l'alternarsi d'inverno e primavera ma soltanto un autunno perenne. Un viaggio con destinazione sconosciuta». Scenario da brivido, ma il ragionamento fila e Scurati ammette: «Farneticazioni apocalittiche? Temo di no. Se si trova il coraggio di tenere lo sguardo fisso sull'abisso, si scopre che ci siamo già accostumati a un'emergenza permanente, quella ambientale. Da anni, da decenni, viviamo tutti in un mondo le cui condizioni climatiche vanno peggiorando in maniera progressiva, costante e probabilmente definitiva. Ci siamo rassegnati, non adattati, a eventi meteorologici estremi, estati invivibili, spettri d'estinzione. Ci siamo rassegnati al cronicizzarsi delle crisi migratorie. L'umanità ha dato prova di saper reagire con una insurrezione contro questo destino ingrato? Non certo sul piano politico. Il penoso fallimento della "Cop 26" di Glasgow - tanto più penoso quanto più lo si traveste da mezzo successo - sta a dimostrarlo. E allora? Allora bisogna riconoscere i nostri fallimenti, le nostre sconfitte, la nostra impotenza». Scurati tira le fila: «La prima conseguenza dell'abbandono del modello dei cicli di morte e rinascita per quello della cronicità comporta il riconoscimento della inadeguatezza della politica convenzionale a risolvere con mezzi collettivi i problemi collettivi generati dalla ipercomplessità della vita tardo moderna. Sia la pandemia sia il cambiamento climatico sono scorie tossiche della globalizzazione. La politica che si attarda nelle sue stanche consuetudini novecentesche non sembra in grado di affrontarle. E', dunque, facile prevedere che se l'emergenza sanitaria dovesse cronicizzarsi, come si sono cronicizzate quella ambientale e quella migratoria, si accentuerà la tendenza, già in atto, verso forme di potere politico sorte dalla progressiva sospensione o cancellazione delle consuetudini democratiche. Le leadership populiste e i partiti sovranisti, subita una battuta d'arresto nelle prime fasi della pandemia, quando ancora si sperava nella prossima rinascita, se anche l'emergenza sanitaria dovesse cronicizzarsi, rialzeranno senz'altro la testa. Avranno gioco facile a invocare la blindatura autoimmune nei confronti di un mondo globalizzato che ci invade con le sue varianti. Lo stanno già facendo». Prosegue e conclude: «La seconda conseguenza è che la fiducia nelle virtù civiche (mascherine, distanziamento, riduzione domestica dei consumi energetici, apertura all'altro da noi, ecccetera) dovrà cedere il passo alla speranza nella soluzione scientifico-tecnologica delle emergenze. Molti già ritengono che il surriscaldamento globale possa, visto il fallimento della politica, essere contrastato solo dallo sviluppo delle tecnologie per la cattura dell'anidride carbonica. Quasi tutti hanno confidato e confidano nei vaccini per il contrasto alla pandemia. Le conseguenze del cronicizzarsi delle emergenze planetarie sarebbero molto altre. Non ho né lo spazio né le capacità per immaginarle. Forse, però, sarebbe il caso che cominciassimo a farlo tutti insieme, consapevoli che un'epoca è finita, un'altra è cominciata, e che ci preparassimo ad affrontarla con spirito di adattamento a livello di specie, non con la rassegnazione di milioni, miliardi d'individui malinconici, rabbiosi e solitari». E' bene farci dei ragionamenti.