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04 nov 2021

Novembre di morti e di guerra

di Luciano Caveri

I mesi restano lì, appesi al calendario e spetta a noi giudicarli a seconda delle caratteristiche che, oltre al nome, abbiamo affibbiato loro. Novembre lo riassume, in una strofa finale di una sua poesia, Giovanni Pascoli: «Silenzio, intorno; solo, alle ventate odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cadere fragile. E' l'estate, fredda, dei morti». Insomma: siamo nel mese in cui l'autunno si intristisce e per molti, me compreso, il ritorno all'ora solare, che significa di fatto meno luce fra pomeriggio e sera, dà un senso di tristezza nel contesto di una natura che si ferma. Poi ci sono i morti ricordati nel giorno di oggi, ma in realtà inseriti in un periodo che diventa ancora più complesso, come cercherò di spiegare.

Questo 2 novembre ha radici antiche: fu Sant'Odilone, abate di Cluny in Borgogna dal 994 al 1048, che fissò in questa data la commemorazione di tutti i defunti, e scelse questa data per collegare esplicitamente la nuova ricorrenza con quella del giorno precedente la festa di tutti i santi. Ma la festa verrà ufficialmente riconosciuta solo nel XIV secolo, con il nome latino di "Anniversarium Omnium Animarum". Poi sopravviene il 4 novembre, l'anniversario dell'entrata in vigore del cosiddetto "Armistizio di Villa Giusti" del 1918, col quale si fa coincidere convenzionalmente in Italia la fine della Prima guerra mondiale. L'accordo fu firmato a Padova il giorno prima, il 3 novembre 1918, dall'Impero austro-ungarico e l'Italia, che era alleata con la Triplice Intesa (il Regno Unito, la Francia e la Russia). Le trattative per l'armistizio erano cominciate il 29 ottobre, durante la battaglia di Vittorio Veneto: l'ultimo scontro armato tra l'Italia e l'Impero austro-ungarico. La festività del 4 novembre è stata istituita nel 1919 ed è durata fino al 1976: è l'unica Festa nazionale che sia stata celebrata dall'Italia prima, durante e dopo il fascismo. Ebbene, questo anniversario che ha perso via via eco popolare si pone oggi come evocazione dell'orrore delle guerre, diventata ormai scevra della retorica attorno alla vittoria. Ha scritto Roberto Raja su "Il Foglio" un bel ricordo del Milite Ignoto, che si impasta con il mese di novembre, ora che se ne celebra il secolo dall'istituzione. Così in un passaggio iniziale dell'articolo: «Comunque lo si guardi, e al netto della retorica nazionalista e militaresca che l'ha attraversato in un secolo di storia, il Milite ignoto fa ormai parte della mitologia della nazione. E come mito, fondativo quanto meno della rinascita dal trauma della Grande guerra, è sopravvissuto alla monarchia e al fascismo, a un'altra guerra sciagurata e alla leva obbligatoria, alla contestazione, a un attentato e a qualche anno di oblio. La guardia d'onore è sempre lì al suo fianco, giorno e notte, oggi due lancieri di Montebello, domani forse due fucilieri di Marina. Le Frecce tricolori passeranno presto di nuovo sopra le loro teste, una nuova corona d'alloro sarà posta accanto alla tomba, risuoneranno le note dell'"Inno di Mameli", della "Canzone del Piave" e del "Silenzio"». Più avanti si evoca la realizzazione: «L'idea di trasportare da un campo di battaglia alla capitale un soldato senza identità e di seppellirlo nel tempio più importante della nazione era già stata attuata nel 1920 in Francia e Inghilterra. L'11 novembre, nel secondo anniversario dell'armistizio sul fronte occidentale, con un'imponente cerimonia il Milite ignoto francese era stato inumato a Parigi sotto l'Arc de Triomphe, costruito da Napoleone come tributo al suo esercito e già monumento alle glorie militari e all'orgoglio nazionale francese, mentre a Londra la bara del Soldato senza nome britannico era stata collocata nell'abbazia di Westminster, dove sono sepolti monarchi, poeti e grandi d'Inghilterra. In Italia, nel luglio di quell'anno era stato un colonnello d'artiglieria, Giulio Douhet, sostenuto da padre Agostino Gemelli, a proporre l'idea di onorare tutti i caduti nella salma di un soldato sconosciuto: un "corpo mistico", lo ha definito Laura Wittman, italianista della "Stanford University", che incarnava il sacrificio di tutti i caduti e che rappresentava pure idealmente per i vivi il figlio, il marito, il fratello, il padre che aveva perduto la vita e il corpo al fronte. Passò più di un anno prima che il disegno di legge fosse promulgato e che il governo - presidente del Consiglio per la prima volta un socialista riformista, Ivanoe Bonomi, ministro della Guerra un civile, Luigi Gasparotto - lo mettesse in opera. Toccò a Gasparotto, che poteva muoversi sulla scorta delle comuni esperienze delle altre due potenze vincitrici, definire le modalità dell'operazione: un rituale che garantisse l'anonimato della salma prescelta (e la commissione istituita per questo compito fu vincolata a un rigido protocollo di segretezza) e la massima risonanza del tributo. Il punto di partenza era l'esumazio - ne di undici corpi senza nome, da cercare nelle undici zone di combattimento più significative del fronte italo-austriaco: dal San Michele al Pasubio, dal Grappa al Montello a Gorizia e Monfalcone. Tra le undici bare, sarebbe stata scelta quella destinata alle esequie solenni e alla sepoltura a Roma al Vittoriano, il grande monumento in onore di Vittorio Emanuele II, il sovrano fondatore dello stato, che dieci anni dopo l'inaugurazione era già il simbolo dell'identità nazionale». Fu scelta una madre che aveva perso il figlio in guerra, che così viene descritta nell'articolo: «Maria Maddalena Blasizza, figlia di un fabbro e di una lavandaia, era nata a Gradisca d'isonzo nel 1867 e viveva a Trieste (allora Impero austro-ungarico), dove si era trasferita in gioventù. Il marito era un Antonio Bergamas, postino. Il figlio maschio, Antonio anche lui, formalmente suddito dell'impero asburgico ma "educato nella fede di Mazzini" - avrebbero scritto dopo la sua morte in un opuscolo commemorativo - si era arruolato nell'Esercito italiano con il nome di guerra di Antonio Bontempelli. Era caduto colpito da una raffica di mitraglia nel giugno del '16 durante un assalto che aveva voluto guidare lui stesso poiché come irredento, aveva sostenuto, spettava a lui l'onore di giungere per primo sui reticolati nemici», fu questa mamma, in una cerimonia drammatica ed emotiva, a scegliere la bara, che venne traslata dopo un lungo giro d'Italia, rievocato in questi giorni da apposito treno della memoria tappa dopo tappa. Novembre con questo impasto di ricordo e drammi si sposa così perfettamente con questo clima mesto di un mese - lo si è capito - che salterei a piè pari.