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14 giu 2021

La spensieratezza e la spensierataggine

di Luciano Caveri

Se una lezione ci viene dalla terribile pesantezza della pandemia, che ci ha spaventati ed imprigionati, è la necessaria riscoperta della spensieratezza. In questi giorni in cui le maglie si stanno allargando la vedo questa voglia di liberare la mente da troppi pensieri nei tavoli dei bar all'aperto dove ci si ritrova per ritrovarsi. Così, banalmente. Scrivono sulla spensieratezza Manuela Cervi e Carluccio Bonesso nel libro "Emozioni per crescere", ricordando anche la sorella cattiva, la "spensierataggine", ormai scomparsa dal nostro lessico: «La spensieratezza è anche etimologicamente (con "s-" sottrattivo) l'essere senza pensieri, il non avere preoccupazioni. Non c'è più la necessità di volgersi altrove, perché l'accento semantico è posto sulla mancanza, sull'assenza di motivi di tristezza o di paura, che sono state ormai quasi definitivamente lasciate alle spalle».

«La spensieratezza è un movimento liberatorio dalla pesantezza di tristezza o paura - aggiungono - sono spensierato quando non ci sono motivi di tristezza o di paura all'orizzonte. Sotto il profilo lessicale con la spensieratezza ci si abbandona liberamente e fiduciosamente alla gioia, che finalmente potrebbe affacciarsi all'orizzonte. Con la spensierataggine invece ci si libera dalle preoccupazioni in maniera leggera e negligente; non si vuol guardare a eventuali circostanze di fatica. Nella spensieratezza la mancanza di preoccupazioni è un regalo della vita, mentre nella spensierataggine la stessa mancanza di preoccupazioni è dettata dalla volontà di non guardare la vita fino in fondo. Il codice italiano, che ci mette a disposizione i due sostantivi, non ci mette invece a disposizione gli aggettivi corrispondenti, per cui se diciamo di essere spensierati, dovremmo specificare se per spensieratezza o per spensierataggine».  Insomma esiste un lato buono e da praticare per dare importanza a noi stessi, ai nostri spazi di libertà ed alle tante piccole cose che spesso perdiamo di vista. Scriveva Bertrand Russell nel suo "Elogio dell'ozio": «Vi era anticamente una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell'efficienza. L'uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos'altro e non come fine a se stesso». Figurati che lo scriveva nel 1935 e chissà cosa direbbe oggi, in cui le nostre vite sono ancora più imprigionate, e non ripeto la tiritera della connessione sempre presente che ci costringe, certo anche per colpa nostra, a lavorare di più ed a staccare di meno. E Russell, che finisce per essere preveggente, osservava: «Soprattutto ci sarebbe nel mondo molta gioia di vivere invece di nervi a pezzi, stanchezza e dispepsia. Il lavoro richiesto a ciascuno sarebbe sufficiente per farci apprezzare il tempo libero, e non tanto pesante da esaurirci. E non essendo esausti, non ci limiteremmo a svaghi passivi e vacui. Almeno l'uno per cento della popolazione dedicherebbe il tempo non impegnato nel lavoro professionale a ricerche di utilità pubblica e, giacché tali ricerche sarebbero disinteressate, nessun freno verrebbe posto alla originalità delle idee. Ma i vantaggi di chi dispone di molto tempo libero possono risultare evidenti anche in casi meno eccezionali. Uomini e donne di media levatura, avendo l'opportunità di condurre una vita più felice, diverrebbero più cortesi, meno esigenti e meno inclini a considerare gli altri con sospetto. La smania di far la guerra si estinguerebbe in parte per questa ragione, e in parte perché un conflitto implicherebbe un aumento di duro lavoro per tutti. Il buon carattere è, di tutte le qualità morali, quella di cui il mondo ha più bisogno, e il buon carattere è il risultato della pace e della sicurezza, non di una vita di dura lotta. I moderni metodi di produzione hanno reso possibile la pace e la sicurezza per tutti; noi abbiamo invece preferito far lavorare troppo molte persone lasciandone morire di fame altre. Perciò abbiamo continuato a sprecare tanta energia quanta ne era necessaria prima dell'invenzione delle macchine; in ciò siamo stati idioti, ma non c'è ragione per continuare ad esserlo». Chissà se oggi si possa parlare di un "fordismo digitale" per inventarsi un'espressione. Spensieratezza, comunque, conserva tutta la sua freschezza da sfruttare per il nostro bene.