Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
31 gen 2021

Là ad Auschwitz

di Luciano Caveri

Una volta i revisionisti riguardo all'Olocausto erano quattro gatti isolati ed i peggiori finivano per essere persino negazionisti. Poi l'ignoranza è dilagata con una destra neofascista e addirittura neonazista, che ha usato con abilità il mondo del Web, suggestionando esaltati e fessi. Posizioni che hanno trovato terreno fertile anche in un antisemitismo che non ha colore e che ha radici profonde, e lo si vede in certa sinistra estremista che incanala antichi pregiudizi nell'antisionismo. Lo scrivo oggi, nel "Giorno della Memoria", previsto anche in Italia da una legge dello Stato che votai, motivandolo, quand'ero deputato ed in cui credo e lo faccio anche contro il benaltrismo. In molti ambienti se citi la Shoah ti trovi sul collo chi se ne esce, come contrapposizione, con altri orrori della storia dell'umanità per annacquare quel genocidio, come se fosse uno dei tanti. Non è così: esiste un unicum da spiegare alle nuove generazioni.

Così ho fatto sulle tracce di una parte della dolorosa prigionia di mio padre Sandro assieme altri giovani valdostani deportati in Germania nel 1944. Anni fa, separatamente per stare loro vicino come "guida", portai i miei figli grandi ad Auschwitz-Birkenau, oggi Polonia ed allora territorio annesso al Reich. Papà ci lavorò come prigioniero e venne poi trasferito a Cracovia, da dove fuggì. Spero di portare in visita ad Auschwitz, come già è avvenuto per i suoi fratelli Laurent ed Eugénie, anche il piccolo Alexis. Ritengo che per un ragazzino sia una vaccinazione a favore della democrazia e non è un caso se da presidente organizzai viaggi di scolaresche di giovani in quei luoghi tetri e purtroppo esemplari per capire come l'umanità possa precipitare in un pozzo profondissimo. Quei luoghi, terribili e evocatori, sono impregnati dell'orrore dell'Olocausto ed ogni libro nuovo che leggo sulla Shoah aggiunge elementi di riflessione per capire l'incomprensibile: come il popolo tedesco consentì, addirittura con l'uso del voto, al nazismo di Adolf Hitler di dispiegare un progetto folle di supremazia mondiale, di cui lo sterminio degli ebrei era parte integrante. Studiare come avvenne la pianificazione e lo svolgimento di questo progetto delirante e orribile accende un faro sulla natura umana, capace di far diventare routine il più terribile dei comportamenti. Vorrei dire che cosa resti in me di quei luoghi, come evocato dai racconti di vita vissuta di mio padre ed anche in un piccolo diario che ho depositato negli archivi dell'Istituto storico per la Resistenza. Rimane lo sconcerto di una gigantesca macchina per uccidere: dai treni in arrivo venivano già scartati quelli inidonei al lavoro e finivano subito nelle camere a gas, tutti spogliati e rasati e infilati nelle loro divise di detenzione diventavano un numero ad un certo punto tatuato su di loro, in varia misura - affamati, maltrattati e terrorizzati - dovevano perdere la dignità di esseri umani per poi finire nel ciclo industriale della morte. Prima gassati e poi bruciati nei fornì ed in mezzo ci stanno quelle vetrine che si trovano ad Auschwitz: i capelli che servivano per diverse produzioni, gli occhiali ed i giocattoli riutilizzati per la popolazione civile, le protesi delle persone disabili e via di questo passo. Sappiamo che sui cadaveri venivano persino rimosse le protesi dentarie in oro. Tutta una destra estrema ha coltivato la tesi del negazionismo, fino a dire che l'Olocausto non è mai esistito, e mio padre, deportato assieme ad altre decine di soldati valdostani, ne soffriva: un prete polacco da un collinetta sulla Vistola, da cui si vedeva il campo, pochi giorni dopo l'arrivo, gli spiegò che quelli con la divise a strisce - che loro chiamavano «la Juventus» per ridere - venivano eliminati ed erano il fumo che usciva dai camini del campo. Così, molto privatamente, per me il "Giorno della Memoria" serve a ricordare Sandrino, mio papà poco più che ragazzo che la Storia scagliò lassù. Al ritorno disse a mio nonno che avrebbe lasciato Giurisprudenza, dopo aver visto con i suoi occhi che il Diritto era un'invenzione. Non c'erano soldi per Medicina e scelse Veterinaria. «Meglio gli animali che gli uomini», commentava ogni tanto e sapeva bene il perché. Ma ebbe la soddisfazione di essere definito come "giusto" dalla comunità ebraica di Torino per aver accompagnato - negli anni precedenti la sua deportazione - ebrei in fuga verso la Svizzera, talvolta ospitati a casa dei miei nonni in via Sant'Anselmo ad Aosta. Un uomo, un esempio, che il caos della Storia strappò alla giovinezza e per tutta la vita la sua naturale allegria ebbe una zona grigia la cui origine era là, ad Auschwitz.