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11 set 2020

75 anni dopo

di Luciano Caveri

So che esiste nel ricordare certi giorni simbolici un rischio di una qualche ripetitività. Ma dico sempre che bisogna continuare a ricordare in un mondo in cui l'oblio è di casa e nel quale spesso si dimenticano le radici che nutrono la pianta. Oggi siamo il 7 settembre, data che è stata per un breve periodo "Festa della Valle d'Aosta" per i significati che ha, da una parte è festività ad Aosta perché San Grato è il Santo Patrono della Diocesi di cui dovrebbe essere stato secondo Vescovo, dall'altra festa laica senza dubbio, essendo questa la data canonica delle udienze dei Savoia nel Duché d'Aoste e pure data di emanazione dei decreti luogotenenziali del 1945, alla base dell'attuale regime autonomistico. Tre circostanze in uno e quest'ultima è una probabile casualità che stupisce e può fare immaginare una sorta di mano invisibile.

Questo è quanto vorrei evocare oggi è cioè quanto avvenne 75 anni fa, come se appunto fosse oggi nel clima incandescente del secondo dopoguerra, quando le piazze ribollivano di manifestazioni di valdostani alla ricerca di libertà dopo il Ventennio fascista. A chiusura del periodo resistenziale, pieno di speranze per il futuro status giuridico della Valle, Umberto di Savoia, Luogotenente generale del Regno, allora quarantenne, a conclusione del lungo sodalizio fra Valle d'Aosta e Casa Savoia (la Valle un anno dopo votò per la Repubblica), firmò - ultimo atti dell'antico rapporto con i valdostani - i due decreti attesissimi, il numero 545 "Ordinamento amministrativo della Valle d'Aosta" ed il numero 546 "Agevolazioni di ordine economico e tributario a favore della Valle d'Aosta". In sintesi: il primo sopprimeva la famigerata "Provincia di Aosta" nata nel 1927 e allargata artificialmente dal fascismo al Canavese, costituendo una "Circoscrizione autonoma" con i propri confini storici e prevedendo la ricostituzione dei Comuni, cancellando l'onta delle fusioni forzate e dei toponimi tradotti in italiano in modo grottesco. Nasce - base di una democrazia parlamentare - quel Consiglio Valle composto da venticinque membri (il censimento del 1936 assegnava alla Valle 83mila abitanti, oggi sono 126mila) un presidente che lo presiedeva e che guidava una Giunta di cinque persone, oltre ad assumere - un unicum rimasto tale in Italia - le funzioni prefettizie. L'articolo 13 rinviava ad un successivo provvedimento il compito di indicare "le materie che potranno essere disciplinate dal Consiglio della Valle con norme giuridiche proprie, anche in deroga alle leggi vigenti". Il secondo decreto prevedeva la concessione alla Valle d'Aosta per novantanove anni delle acque pubbliche ed analogo provvedimento riguardava le miniere. Venne anche statuita la "zona franca", da attuarsi in realtà con modalità da stabilire con successivo provvedimento, e che ritroveremo - altrettanto inespressa - nell'articolo 14 dello Statuto speciale. Vi era poi la prima norma sull'ordinamento finanziario, caposaldo dell'Autonomia e anche oggi preda della capricciosità dello Stato in presenza di un principio di intesa troppo spesso disatteso da Roma. Successivamente, fra il novembre e il dicembre del 1945, altri decreti integrarono e specificarono i precedenti in diverse ed importanti materie. Seguirà tre anni dopo lo Statuto d'Autonomia, che darà ulteriore corpo All'ordinamento valdostano con rango costituzionale, ma senza il principio dell'intesa per la sua modifica, basata ancor oggi su una fragile logica di patto politico che non può escludere blitz parlamentari e tutto sarà peggio se passerà il taglio dei parlamentari con l'imminente referendum confermativo. Ricordo che sia i decreti luogotenenziali che lo Statuto furono criticati da padri autorevoli dell'Autonomia, come mio zio Séverin Caveri, che scelsero però con buonsenso di lavorare nelle Istituzioni appena nate, pur distanti da quanto sperato. Fu una decisione di pacificazione in un periodo in cui si sarebbe potuto gettare facilmente un cerino nella polveriera. Il decreto luogotenenziale vive ancora e anzi rivive quando certe materie tornano in campo, come ha ben detto in certe occasioni la Corte Costituzionale. Ricordo che, in una riforma dello Statuto del 1993, inserii scientemente all'articolo 48 bis lo strumento mobile delle norme d'attuazione, la nozione fondamentale di "ordinamento valdostano", che comprende a pieno tutto quanto ha preceduto lo Statuto. Perché, al di là dei contenuti puntuali, conta quanto si legge proprio nell'articolo 1 del decreto luogotenenziale del 1945, che è stato alla base della prima autonomia del dopoguerra: "La Valle d'Aosta, in considerazione delle sue condizioni geografiche, economiche e linguistiche del tutto particolari, è costituita in circoscrizione autonoma con capoluogo in Aosta". Si ritrovano qui gli elementi fondativi, in quel "del tutto particolari", per cui parlare di "particolarismo" in senso positivo non è un'eresia. Ma va fatto, essendo su questo la lingua italiana ambigua, evocando la parola "particularisme" in francese, che vuole dire: "Fait pour un groupe social, pour une ethnie de vouloir préserver, à l'intérieur d'un État ou d'une fédération, ses libertés régionales, son autonomie, ses particularités linguistiques, culturelles". Ma torniamo all'esame di questo articolo 1. La geografia è fatto comprensibile, che significa "descrizione della terra", in questo caso della nostra terra. Il dato è noto: l'altimetria media della Valle d'Aosta oltrepassa i duemila metri ed è un dato significativo. Montagna che ha forgiato l'identità valdostana e influenza in profondità la seconda motivazione autonomistica del decreto luogotenenziale "condizioni economiche". Pensiamo a come una personalità come Luigi Einaudi, amico della Valle e di origine montanara lui stesso, segnalò come l'Autonomia dovesse essere strumento per uscirne da una condizione di povertà. Oggi, meglio che in passato, abbiamo studiato e valutato in profondità i sovraccosti della montagna che erano alla base dei "privilèges" dell'antica autonomia nel millennio di storia comune con Casa Savoia. Ci sono poi le "condizioni linguistiche". La mia posizione è conosciuta: dopo l'uso del latino, le lingue valdostane hanno ruotato per secoli attorno al bilinguismo francese-patois. Più di 150 anni fa, ceduta la Savoia alla Francia e con l'avvento poi del Regno d'Italia, appare sulla scena un problema nuovo, quello dei valdostani come minoranza linguistica. Nel costituzionalismo attuale e nell'insieme del diritto internazionale questo è un problema importante. Infatti essere minoranza linguistica è una situazione giuridica determinata. Parliamo di uno degli aspetti fondamentali del nostro attuale status identitario e ciò va tenuto in assoluta evidenza come comunità, ma si tratta anche una personale assunzione di responsabilità. Nessuno regala niente a nessuno. Risalire a certi passaggi e capirli è sempre esercizio salutare: chi è senza memoria vaga in un presente senza riferimenti. E purtroppo le elezioni regionali previste tra quindici giorni avvengono in un clima di divisione da cui emerge anche molta ignoranza sulla storia valdostana contemporanea, figurarsi su quella precedente. Ricordo che l'Union Valdôtaine nacque come reazione alla pochezza di quei decreti rispetto ad aspettative e promesse e si formò in una logica pluralista in un momento decisivo e su quell'idem sentire, che pure non fu duraturo per alcuni dei fondatori. Marcò comunque la particolarità del quadro politico valdostano e com'è diversa la situazione oggi è palese e ricostruire quell'unità di intenti sarà la sfida dell'immediato futuro.