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16 set 2020

6) Diario di un candidato

di Luciano Caveri

Mi piacerebbe credere che la rincorsa elettorale, giunta quasi sulla dirittura finale quando bisogna dar fondo alle energie per non perdere il passo, non fosse per la brevità di un mese ufficiale la sola cifra di riferimento per chi deve decidere. Nel senso che credo sia interessante scrutare - oggi che si trovano in Rete perché obbligatori - i curricula che i competitori alle regionali - assieme al casellario giudiziale - devono obbligatoriamente rendere noti. Carta canta. Certo, dipende da quale età si ha, nel senso che mica si pretende che un ventenne (anzi un ventunenne, essendo rimasta paradossalmente questa età per presentarsi nelle liste) abbia chissà quale background, ma diverso è per chi è adulto. Questo non vuol dire, in chissà quale logica classista, che contino solo gli studi fatti ed il lavoro più o meno importante, ma neppure il suo contrario, come teorizzato da parte dei "nuovisti", che sembrano deridere cultura e competenze acquisite. Difatti il dilettantismo e l'ignoranza creano disastri.

Ma c'è un spunto parallelo, che ci dice ormai quanto questa ulteriore storia del vecchio e del nuovo si sia tinta di grottesco. Esiste questa necessità, che ha le sue ragioni, di cambiamento, ma quali debbono essere le sue modalità? Ho sempre pensato che la logica dovrebbe essere quella del testimone, intendendo quel bastoncino (più propriamente un tubo vuoto, di materiale rigido, liscio) che, nelle corse a staffetta, dev'essere consegnato dall'uno all'altro degli atleti della stessa squadra che devono percorrere ciascuno una frazione della gara. E invece questa vicenda della catena che lega le generazioni nel loro susseguirsi, sembra non essere più un importante e di questo mi dolgo profondamente. In tutta la mia vita politica ho sempre pensato che le mie esperienze accumulate, fatta salva la soddisfazione di aver fatto cose di cui vado fiero, abbiano un senso proprio se si tratta di qualcosa di più di un "vuoto a perdere" o di materia di chi magari ricostruirà certi passaggi di questi decenni a cavallo fra il vecchio e nuovo Millennio. Chi ha combattuto certe battaglie autonomistiche, che dico sempre figurano in resoconti e documenti e non nella retorica vacua o nella memoria addolcita dal tempo che passa, non può che dolersi dell'idea balzana della tabula rasa. Uso non a caso questa bella espressione latina con cui si designava la tavoletta cerata usata dai Romani per scrivere, quando era completamente cancellata (quindi disponibile ad essere usata nuovamente). Sarebbe innaturale che ciò avvenisse per la storia millenaria della civilisation valdôtaine. Questa storia fa il pari con chi - e sono tanti - spunta solo in periodo elettorale. Ne vedo sulle liste che mai si sono occupati dei destini della Valle e dei problemi da risolvere. Ma spuntano da un congelatore con l'avvicinarsi delle urne, diventando tuttologi e grandi solutori di questioni più o meno note. Con la bacchetta magica e promesse da "mille e una notte" illuminano come fuochi d'artificio la campagna elettorale, per poi tornare in letargo se non conquistano il seggio. Torneranno alla prossima tornata elettorale pronti per l'uso, magari in schieramenti opposti a quelli di partenza. E' questa la forza del trasformismo, vizio italiano attecchito in Valle. Trovo un vecchio articolo di Ernesto Galli della Loggia. Leggiamo: «La prima cosa da chiarire è che trasformismo non significa affatto cambiare opinione su questa o quella questione. Non vuol dire cambiare idea. Ci mancherebbe altro. Il mondo, le situazioni, i protagonisti cambiano a velocità vertiginosa: sarebbe assurdo che invece deputati e senatori dovessero conservare sempre la medesima opinione di cinque, dieci, o anche un anno prima. Le cose stanno però ben diversamente quando si tratta del mutamento della propria identità politica e non già di un semplice mutamento di idee su una determinata questione, sia pure importante». Ed ecco il cuore del ragionamento: «In un regime democratico l'identità politica sia dei singoli che dei partiti è data sì dalle loro rispettive opinioni su alcuni problemi chiave (opinioni che tuttavia, come ho detto, con il tempo possono benissimo attenuarsi, essere lasciate cadere, mutare in parte o del tutto) ma assai di più è data da un fattore diverso: dagli amici e dai nemici che si hanno o che si decide di avere. E' per questo che in politica i programmi valgono quello che valgono (generalmente poco), e invece conta moltissimo con e in special modo contro chi si pensa di attuarli. Non per nulla, specie da quando esiste il suffragio universale, un governo non si caratterizza tanto per le cose che si propone di fare (che spesso almeno negli obiettivi non differiscono molto da uno schieramento all'altro) quanto per la sua composizione - cioè per le forze che si mettono insieme per farle - e al tempo stesso per quelle escluse, le quali vengono così a trovarsi all'opposizione. Dunque è l'identità degli amici e dei nemici, il carattere più o meno repentino con cui cambia il giudizio su chi siano gli uni e chi gli altri, e quindi il mutamento degli amici in nemici e viceversa: sono questi elementi la vera cartina al tornasole del trasformismo dei singoli e dei partiti». Ma manca ancora un tassello per spiare il fenomeno: «In tema di trasformismo una spia decisiva è quella dei tempi e dei modi. (...) Ci possono essere buone, buonissime, ragioni non solo per cambiare idea su questa o quella faccenda ma anche per decidere di cambiare la propria identità politica. Possono esserci. Ma non possono essere ragioni subitanee che spuntano un bel giorno dal nulla. (...) Il nicodemismo ha diritto di cittadinanza tra i sudditi delle dittature, non nei parlamenti delle democrazie». Il "nicodenismo" - chiarisco - è il conformarsi esternamente alle idee dominanti, nascondendo le proprie. Vedo molti camaleonti di questo genere in queste nostre elezioni. Ancora Galli della Loggia: «Questo non è moralismo, è l'ovvia necessità che il pubblico sappia chi ognuno è, e che pensa. Così come non è moralismo pensare che chi in politica cambia idea o identità sia naturalmente liberissimo di farlo ma, se davvero vuole evitare di essere accusato di trasformismo, si senta tenuto almeno a una cosa: ad ammettere pubblicamente di aver cambiato idea o identità. E magari a spiegare anche per quale ragione». E invece in troppi nascondono cambiamenti strani e conversioni sospette.

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