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10 lug 2020

Mai dimenticarsi di San Bernardo

di Luciano Caveri

Ogni volta che mi capita di salire al Colle del Gran San Bernardo avverto il peso della Storia. Un luogo magico, che contiene nella logica del genius loci o, con Gustave Flaubert, del «l'âme des lieux», tutta quanta la storia valdostana e delle Alpi, ma persino di una parte dell'Europa. Perché questo Colle alpino è sempre stato un punto di giunzione fra Nord e Sud in cui sono passati pellegrini ed eserciti, commercianti e viandanti: un mondo brulicante attraverso i millenni, che mostra come sbagli chi pensa alle montagne come luoghi chiusi. L'altro giorno discutevo con un amico esperto d'arte e usavamo come esempio tangibili di questa "internazionalità" patrimoni culturali immensi ben visibili nel piccolo di un castello come quello di Issogne o come il Palazzo Roncas di Aosta con dipinti preziosi che raccontano di una Valle ricca di influenze culturali.

Ogni volta mi dico quanto sarebbe importante far capire questo. Oggi è facile pensarci con i due trafori stradali del Monte Bianco e appunto del Gran San Bernardo, ma prima c'erano i colli, alcuni ancora viventi, altri abbandonati, che dimostrano l'interconnessione delle popolazioni alpine e l'uso di questi itinerari come corridoi per muoversi anche su ampie distanze. Domina la scena, per questa consapevolezza, il grande Santo valdostano, San Bernardo di Aosta. Domenico Agasso scriveva di lui così su "Famiglia Cristiana": «Di lui è più ricordata tuttavia l'opera di rianimatore della vitalità europea in uno dei suoi punti più colpiti: il passo di Monte Giove (detto poi in suo onore Gran San Bernardo). E' l'importantissimo valico che consente il viaggio lineare da Londra alla Puglia, per merci, persone, idee. Dice una preghiera in suo onore: "Il miracolo di Monte Giove, o Bernardo, mostrò la tua santità. Qui tu hai distrutto un inferno e costruito un paradiso". Alla fine del IX secolo, forze arabe partite dalla loro base di La Garde-Freinet (Costa Azzurra) hanno occupato con altri valichi quello di Monte Giove e i villaggi dei due versanti. Qui si sono poi dedicati a rapimenti, sequestri, uccisioni, incendi di monasteri, chiese, paesetti. Ci sono poi signorotti locali, cristiani, che li assoldano volentieri per le loro contese; e non manca chi si spinge fino a imitarli nelle estorsioni. Questo è "l'inferno". E finisce dopo che nel 973 Guglielmo di Provenza distrugge la base araba di La Garde-Freinet, provocando il ritiro delle bande dai monti. Per l'alto valico (a 2.473 metri) riprendono i passaggi, con gravi disagi per ciò che è stato distrutto o bruciato. E qui arriva Bernardo. Che non porta subito il "paradiso". Anzi: il suo lavoro inizia nella prima metà dell'XI secolo con molte difficoltà e pochi mezzi. Ma con un'idea innovatrice: tagliare a metà la consueta tappa Saint-Rhémy (Val d'Aosta) Bourg-Saint-Pierre (Vallese) e stabilire una tappa intermedia proprio sul valico. Intorno all'idea, per opera sua e dei continuatori, si sviluppa l'organizzazione. Invece di un semplice rifugio, i viaggiatori, i cavalli, le merci, troveranno accoglienza organizzata, servizio efficiente, sotto la direzione di una comunità monastica impiantata da lui, e cresciuta dopo di lui, con lo sviluppo di edifici e servizi dalle due parti del valico. A Bernardo si attribuisce anche la fondazione dell'ospizio sull'Alpe Graia (Piccolo San Bernardo), ma la cosa non è certa. E poi c'è l'altro Bernardo: il predicatore, non solo nella Vallée; anche nella zona di Pavia, ad esempio. E nel Novarese: in sintonia con la riforma della Chiesa, Bernardo si batte contro l'ignoranza e i cattivi costumi del clero, l'abbandono dei fedeli, il commercio delle cose spirituali. E' la parte meno nota della sua vita, ma è anche quella che impegna tutte le sue forze. Anzi: Bernardo muore appunto facendo questo lavoro, mentre si trova a Novara, la cui cattedrale custodirà poi le sue spoglie». Una storia avvincente e purtroppo poco nota, che meriterebbe un film o una fiction televisiva, che celebri questa personalità così importante in passaggi cruciali della storia europea. Più sintetico e popolare quanto scrisse "Avvenire" anni fa: "Dal 1923 è patrono degli alpinisti, ha dato il suo nome a due celebri passi alpini e anche alla simpatica razza canina dotata di botticella per il salvataggio in montagna. E' san Bernardo di Mentone, che in realtà, però, non sarebbe nato nella località della Savoia, come si legge in una cronaca del XV secolo, ma ad Aosta intorno al 1020. Divenuto arcidiacono e, poi, Agostiniano, gli venne affidato l'incarico di ripristinare il valico detto "Mons Jovis". Si narra che per far ciò dovette lottare contro le pretese di un demonio e alla fine lo precipitò giù da una rupe. Di sicuro c'è che, partendo dall'abbazia svizzera di Bourg-Saint-Pierre, fondò un monastero in cima a quello che oggi è il Gran San Bernardo. A quota 2.470 metri è un posto di sosta e ospitalità per viaggiatori e pellegrini, nonché l'abitato più elevato d'Europa. Al santo viene attribuita anche la costruzione del cenobio in cima al Piccolo San Bernardo. Morì a Novara nel 1081". Non a caso a farlo patrono degli alpinisti e dei montanari fu quel lombardo "Papa alpinista", Pio XI, che - quando era ancora solo Achille Ratti - scalava le nostre montagne. Ci sono poi quei cani San Bernardo, ai quali lo stesso Bernardo ha dato il suo stesso nome, ebbe modo di vedere, se è vero che lassù arrivarono già al tempo dei romani, visto che i progenitori dovrebbero essere stati quei mastini in dotazione ai soldati nell'antica Roma per presidiare i punti strategici delle varie vie di comunicazione.