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06 lug 2020

Quando arrivai al Parlamento europeo

di Luciano Caveri

Vent'anni fa, di questi tempi, entravo al Parlamento europeo. Era la prima volta ed è rimasta tale che un valdostano ci riusciva con il meccanismo dell'apparentamento e fu una grande emozione. Mi trovai a sostituire Massimo Cacciari, che lasciò il seggio, un anno dopo le elezioni. In realtà se Antonio Di Pietro, anche lui nella lista dei "Democratici", avesse optato per il Sud sarei entrato subito, ma l'ex magistrato scelse di far entrare al Sud Pietro Mennea, il famoso sprinter. Ci rimasi male che questo non fosse avvenuto, ma mi permise l'esperienza di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel Governo "D'Alema bis". Poi, quando si profilò l'esperienza europea, a dimostrazione dei casi della vita, fu il nuovo premier Giuliano Amato prospettarmi il ruolo di ministro delle Regioni, ma a quel punto non avrei certo potuto rinunciare al seggio di parlamentare europeo.

In quel giugno del 2000 mi trovai, essendo ancora per un anno deputato nazionale, a dover imparare moltissime cose, aiutato per fortuna dall'esperienza fatta a Montecitorio, senza la quale penso che sarei stato spaesato per un lungo periodo. Ricordo quel periodo con grande piacere: ogni giorno si scopriva una cosa nuova nelle procedure ed anche nelle abitudini di quei due palazzi, quello di Bruxelles, dove si svolge gran parte del lavoro, e quello di Strasburgo dove, spostandosi tutti armi e bagagli, si svolgono le sessioni assembleari. Mi impegnai a fondo e questo mi consentì, tempo dopo, di diventare presidente della Commissione trasporti e politica regionale del Parlamento europeo, che per un novellino era un grande onore (ero il più giovane fra i presidenti di Commissione, ultimo record di... giovinezza) e feci di tutto per guadagnarmi la fiducia dei colleghi di tutti i Paesi membri. Considero quell'esperienza, cui seguirono poi dieci anni al "Comitato delle Regioni" sino a diventare capo della Delegazione italiana, qualche cosa di straordinario, che mi ha forgiato in profondità e che mi ha rafforzato nelle mie convinzioni europeiste. Questo non significa affatto che quell'Europa vissuta in prima fila sia la "mia" Europa. Chi è federalista avrebbe preferito storie diverse e esiti distanti dalla modellistica attuale, ma solo un matto oggi può pensare di tornare ai soli Stati nazionali senza una dimensione politica continentale. Credo che questa esperienza avesse portato in Valle un vento europeo non indifferente e cercai anche in Regione di mantenere quest'aria di un europeismo serio, di un regionalismo come base di nuove dinamiche e la nostra posizione di confine come un trampolino non solo verso i nostri vicini, ma verso tutte le montagne d'Europa con un occhio a tutte le minoranze linguistiche. E sono fiero che in certe scelte, come la presenza delle zone di montagna nei Trattati europei o la nascita di "Eusalp", macroregione alpina, ci sia anche il mio zampino. Per questo mi intristisce oggi il degrado dell'ufficio di Bruxelles, l'assenza di contatti politici ad alto livello ed un ufficio di "Europe Direct" della Valle d'Aosta ridotto in condizioni penose. Per non dire della macchina regionale che nel settore degli scambi con l'Europa arranca con gran pena, quando una volta era fiore all'occhiello rispetto alle altre Regioni italiane. Idem per i famosi fondi comunitari che al posto di essere rastrellati, in un periodo di finanze magre, sono guardati con sospettosità perché comportano impegno, sforzi e responsabilità, da cui in troppi nel pubblico sfuggono per paura o pigrizia. Mala tempora currunt anche sotto questo aspetto e la cultura europeista langue in una Valle i cui padri fondatori avevano capito con intelligenza quanto la strada dell'integrazione europea sarebbe stata utile per una piccola comunità come la nostra. Ma su queste idee e su certi valori cala il grigiore della mediocrità di chi dovrebbe tenere alta la bandiera valdostana in Europa. Ciò mi intristisce profondamente, perché avendo visto e vissuto le enormi chances che abbiamo, questa inedia e persino troppa ignoranza mi colpisce al cuore e spesso mi sento impotente. Anche da noi dilaga un antieuropeismo viscerale privo di qualunque sostanza, che non solo è inutile ma nuoce gravemente rispetto ad ogni progettualità futura. Per questo rimpiango quel ruolo in Europa, mai più raggiunto da nessuno, che mi consentiva nelle aule parlamentari dell'Unione di far sentire la nostra voce. Soffro anche di non poter trasferire queste mie competenze: farei lezione gratis all'Università della Valle d'Aosta, ma si preferiscono docenti di cui ho letto alcune cose che mi fanno rizzare i capelli. Ma se ciò avviene la colpa non è di nessun'altro, se non di una comunità che preferisce valorizzare altri, anche meno competenti, per i giochi e giochini politici, fatti più odio che di comprensione reciproca e di valorizzazione dei ruoli. E altri nel "divide et impera" prosperano.