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12 giu 2020

Il "coronavirus" nel cassetto

di Luciano Caveri

Con oggi, giunto alla quindicesima puntata, chiudo il mio impegno radiofonico sul "coronavirus". In quindici settimane, ogni martedì, ho raccontato dell'epidemia in Valle d'Aosta, cercando di inquadrarla nel più ampio contesto europeo per non restare solo chiuso nei confini regionali. Ho realizzato un più di cento interviste, intervallate dai miei pensieri e dalle musiche adatte. Trovate tutto, purtroppo senza musica, non avendo ancora un podcast autonomo, postato sulla pagina "Facebook" della "Rai Valle d'Aosta". E' stato un esercizio interessante, perché non pressato dalle esigenze dell'informazione quotidiana. Il ritmo settimanale non legato solo all'attualità, ma ad un ritmo più lento con comparazioni forse meno emotive, mi hanno consentito di seguire i fatti con quadri che hanno evidenziato lo stato della situazione in modo molto netto.

Ho sempre cercato di farlo con calma e in modo rassicurante e con la neutralità doverosa per il servizio pubblico. Questo non vuol dire affatto che non fossi preoccupato per tutto quel che avveniva nella nostra piccola comunità. Ho perso amici e conoscenti e, come tutti, guardavo la mia famiglia e sondavo me stesso con le mie paure e quel mondo stralunato fatto di confinamento e violazione per il bene pubblico di diritti civili e ciò mi ha sempre messo a disagio, per quanto sia stato obbediente. Conoscendo il mondo della Politica e dell'Amministrazione, erano per me ben visibili errori ed omissioni, ma le polemiche non spettavano a me a quel microfono. Semmai annotavo qui sul blog, mio fedele compagno quotidiano, amarezze e preoccupazioni. Ma il racconto corale che emerge dalle trasmissioni credo dia conto di una fotografia onesta dei fatti, che ha consentito a chiunque di avere notizie utili ed anche di formarsi una propria opinione e spero che sia servito di lezioni su un punto: in punti chiave non ci possono essere dilettanti, incapaci e pavidi. Per non dire dei raccomandati senza qualità. Certo è stato un crescendo: all'inizio pensavo persino ad una sola trasmissione e poi mi sono trovato nel gorgo dell'emergenza in una sede "Rai" sempre più blindata e con tutti noi bardati ed attenti ai rischi di contagio e persino con periodi di "smart working" che rendevano inusuale l'organizzazione dei programmi tra telefono e piattaforme video. Ma, si sa, tutto passa e, tranquillizzato da tampone e test sierologico negativi, mi accingo a quattro settimane di radio per un'ora - da lunedì 15 giugno - tutti i giorni, tranne la domenica. Sarà una formula estiva abbastanza simpatica con 24 co-conduttori, uno al giorno, con quattro ospiti obbligatoriamente al telefono e con rubriche accattivanti. Il "fil rouge" sarà un verbo al giorno. So che il "covid-19" resta in giro e bisogna temerlo, ma vorrei non parlarne più per radio per questo periodo. Bisogna decomprimere, pensare al futuro, così complesso per il link fra problemi sanitari in calo e la crisi economica che, invece, non demorde. Vorrei avere più certezze e anche la speranza che l'orizzonte risultasse sereno e privo di rischi. Ma so bene che sprizzare ottimismo sarebbe stolido e privo di senso. Sarebbe bene che i giusti timori restassero a galla senza vivere con troppe paranoie, ma evitando le sirene dei soliti incoscienti che invitano al "liberi tutti", per non dire di quella compagnia di giro di varia estrazione che sostiene che la pandemia è stata tutta una sceneggiata. La libertà di pensiero dev'essere legata al buonsenso e chi inquina la società civile non ha diritto di cittadinanza e non solo per il "coronavirus", ma più in generale per rispetto nei confronti della democrazia, che non dovrebbe essere mai consentire la prevalenza del cretino. Questo purtroppo avviene troppo spesso.