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12 giu 2020

Perché non è un problema di plexiglass

di Luciano Caveri

Ogni giorno seguo con paura le piroette del ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, "pentastellata" assurta - con la complicità del Partito Democratico e del premier Giuseppe Conte, dilettante della politica come lei - ad un ruolo decisivo per il futuro dei nostri figli in epoca di pandemia. Sulla riapertura delle scuole, sin da subito rinviata a settembre, mentre in Europa si riaprivano le aule pur a geometria variabile, la prode Azzolina ha detto tutto ed il suo contrario. Un caso di... scuola di chi, in spregio a competenze e capacità, siede in un posto dove può fare danni incalcolabili e, se la si critica, si finisce persino per essere accusati di discriminazione, perché donna. Per me donna o uomo non fa la benché minima differenza: contano le qualità.

Vogliamo cominciare a rompere questo tabù che dovrebbe impedire di criticare le donne al potere quando sono incapaci, come si fa giustamente con gli uomini? Sarebbe politicamente scorretto non farlo e farebbe gioco a chi non lo merita e butta la discussione sul piagnisteo e sull'indignazione, quando i politici vanno giudicati come tutti per il loro lavoro. Ne conosco anche in Valle che giocano questo ruolo di vittime appena squarci la verità su di loro e ciò le qualifica. Ma torniamo al punto e mi taccio, perché oggi sulla scuola pubblico un documento che andrebbe letto soprattutto da chi, anche nel sindacato, piange sulla scuola lacrime di coccodrillo, ma anche dai genitori che pensano di proteggere i figli esiliandoli nelle pareti domestiche. Eccolo ed è chiaro sin dal titolo: "Macché plexiglass in classe! Tornare a scuola si può, anche senza mascherine". «Siamo un gruppo di medici di varie specialità, ma prima di tutto siamo genitori di figli in età scolare. Stiamo assistendo con una certa preoccupazione al dibattito intorno alla riapertura delle scuole a settembre. Ci siamo affidati quindi alla medicina basata sull'evidenza per proporre un documento di riflessione con l'intenzione che possa essere utile a migliorare il dibattito. Di fronte ad un virus nuovo e sconosciuto, nonostante la presenza di equivoche evidenze a favore di un sicuro vantaggio nel controllo della pandemia "covid-19", moltissimi Paesi nel mondo hanno ritenuto necessario chiudere gli istituti scolastici. Per i nostri bambini e ragazzi è stato un anno molto difficile, si sono dovuti confrontare con un mostro invisibile ma molto più forte e crudele di quelli che si trovano nelle favole o si combattono nei videogiochi. Niente amici, niente sport, niente corse all'aria aperta. Mesi passati davanti allo schermo di un computer o a fare compiti su fotocopie sbiadite. Costretti a tenersi a distanza da tutti gli affetti ed a volte addirittura dai genitori. Tutti noi, genitori e figli, lo abbiamo accettato con grande responsabilità e senso civico. Il virus ci ha costretti a tanti cambiamenti nella vita quotidiana, a tante rinunce e spesso anche a grandi perdite economiche. Le conseguenze psicologiche di questa deprivazione dagli stimoli sociali e cognitivi, pur rivestendo una particolare delicatezza in ogni bambino, sono state più severe per i bambini con necessità di speciale attenzione (affetti da patologie depressive, disturbi dello spettro autistico, deficit cognitivo). Oggi però sappiamo molte più cose, e alcune di queste sono fondamentali per una ripartenza della scuola a settembre che coniughi sicurezza ed efficacia educativa e formativa. I bambini e gli adolescenti rappresentano solo l'1–5 per cento dei casi diagnosticati di "covid-19" e almeno il novanta per cento hanno una malattia asintomatica o lieve. I bambini che sembrano essere a più alto rischio di malattia più grave sono i neonati di età inferiore ad un anno e quelli con condizioni mediche di base come patologie cardiovascolari, polmonari e quelli che devono assumere terapie immunosoppressive. Ma da pochi giorni è emersa una nuova importantissima evidenza: i bambini sono raramente responsabili del contagio di persone adulte. In un gruppo di 39 famiglie svizzere con bambini affetti da "covid-19", solo in tre casi i bambini sono risultati essere il vettore dell'infezione all'interno della famiglia. Negli altri 36 casi sono stati infettati da familiari. Simili risultati sono stati ottenuti da uno studio su 68 bambini cinesi affetti da "covid-19": nel 96 per cento dei casi questi bambini sono stati contagiati in casa e non a scuola. Un bambino francese di nove anni con sintomi respiratori, risultato positivo sia a "covid-19" che ad "influenza A", venuto a contatto continuativo con ottanta coetanei, non ha prodotto nessun contagio secondario da "coronavirus" mentre sono stati rilevati contagi da virus influenzale. Infine, nove studenti affetti (ed anche nove adulti appartenenti allo staff di una scuola), venuti a contatto con 735 studenti e 128 adulti del personale scolastico, hanno indotto solamente due infezioni secondarie. I bambini esprimono poco il recettore "ace2" - quello che il virus "sars-cov-2" usa per infettare le cellule che rivestono la mucosa del naso. Il fatto di avere pochi recettori per il virus in quella che è la porta di ingresso delle infezioni respiratorie giustificherebbe la minore suscettibilità dei bambini all'infezione. I bambini si infetterebbero di meno, si ammalerebbero di meno e sarebbero anche meno contagiosi rispetto agli adulti. Si pensa inoltre che la scarsa propensione al contagio all'interno della scuola sia dovuta al fatto che i bambini positivi siano quasi sempre asintomatici, e quindi producano molte meno goccioline di "Flügge" con colpi di tosse e starnuti. La quantità di particelle virali liberate in ambiente dai bambini (elemento in stretta correlazione con la trasmissione dell'infezione) è pertanto molto bassa. Anche se sembrerebbe paradossale per le informazioni e le misure messe in campo fino ad oggi, la scuola dovrebbe invece essere considerata un ambiente sicuro, in cui i contagi sono molto difficili. I maggiori rischi sarebbero tra insegnanti e genitori che quindi dovrebbero mantenere le distanze fisiche tra loro e l'un l'altro a scuola. Aumentare il tempo dei nostri bambini a scuola vuol dire inoltre ridurre il tempo di esposizione a persone adulte ed anziane che potrebbero essere a loro volta vettori di infezione. Per questi motivi, sostenuti dalle solide evidenze scientifiche riportate, riteniamo che la ripresa delle attività scolastiche possa avvenire con procedure meno stringenti rispetto a quelle necessarie in altri ambienti condivisi da molti individui (ad esempio luoghi di lavoro, bar e ristoranti). Il personale e gli studenti dovrebbero praticare una buona igiene per prevenire la diffusione di "covid-19". Ciò include lavarsi le mani a intervalli regolari, coprire la bocca e il naso con un gomito o un tessuto piegato quando si tossisce o starnutisce, mettendo immediatamente i tessuti usati in un cestino ed evitando di toccare gli occhi, il naso e la bocca. Dovrebbe essere previsto un protocollo speciale per la scuola, condiviso con le famiglie (a cui si chiederà la massima responsabilità e cooperazione) in cui i bambini privi di sintomi e dopo misurazione della temperatura corporea prima dell'ingresso, partecipano alle lezioni senza limitazioni stringenti di distanziamento interpersonale e senza necessità di uso della mascherina (che, oltre ad essere sostanzialmente inutile nei bambini per quanto sopra esposto, risulta un importante impedimento alla comunicazione non-verbale tra insegnanti e alunni). Resta comunque essenziale la raccomandazione di adeguare gli ambienti scolastici, ampliando le dimensioni delle aule per ridurre la densità degli alunni e favorendo l'attività didattica all'aperto, ogniqualvolta questo sia possibile. Desideriamo infine chiarire che queste raccomandazioni, basate su solide ed aggiornate basi scientifiche, possono essere ovviamente aggiornate qualora, nei prossimi mesi, emergessero novità nella letteratura scientifica o qualora le operazioni di monitoraggio epidemiologico evidenziassero segni di riattivazione dell'epidemia da "sars- cov-2"». Dr. Claudio Marabotti (cardiologo), Dr.ssa Simona Bellini (psichiatra), Dr. Giacomo Fruzza (pediatra, Pronto soccorso e 118), Dr. Lorenzo Del Pesce (cardiologo), Dr. Riccardo Ristori (medicina d'emergenza-urgenza)"

P.S.: Andate a leggervi su "La Stampa" l'accorato appello di Nadia Fusini, che insegna Letteratura inglese all'Università, e che si conclude con un messaggio esemplare: «Perché, come Shakespeare insegna, "society is the happiness of life"; e cioè, "stare insieme è la felicità". La convivenza, la vita pubblica, l'università, la scuola vanno vissute come luogo di incontro e di scambio fisico di saperi e conoscenze ed esperienze. E' questa l'aria di cui abbiamo bisogno. Pena l'asfissia di cui anche si muore».