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04 giu 2020

Aspettando il 2 giugno

di Luciano Caveri

Non lo dico né per sfida e neppure per fare il beffardo, ma con un filo di dispiacere. Mi piacerebbe sapere da molti che hanno messo il tricolore alle finestre o sui balconi che cosa evoca per loro il 2 giugno, la Festa della Repubblica, celebrata domani. L'impressione è che la memoria sia piuttosto fallace sulla storia italiana anche in epoca di sovranismo squillante in cui ci si attacca alla bandiera più come un feticcio che per il suo possibile significato. Atteggiamenti emotivi e sentimentali hanno le gambe corte come le bugie, mentre solo la consapevolezza crea il senso civico che ha radici solide. Altrimenti - lo dico con ironia - vale il detto "Passata la Festa, gabbato lo Santo". Nel senso che piano la democrazia diventa qualcosa di acquisito per sempre, senza avere consapevolezza del fatto che è una conquista che ha avuto un percorso travagliato e nulla è mai per sempre. Basta guardare a noi stessi ed al mondo che ci circonda per capire che il Male, così umano e non solo diabolico, incombe su di noi.

L'insegnamento della Storia, anche valdostana nella scuola pagata dalla Regione autonoma, è certo zoppicante e troppo spesso questo non dipende solo da programmi vecchi e dalla scarsa volontà di certi insegnanti (a far scattare la scintilla per una materia conta sempre un/a prof come si deve!) o anche dalla svogliatezza di troppi allievi che vivacchiano, ma anche - e lì la scuola non c'entra - da un'idea sciatta e rinunciataria della cittadinanza, che sembra in tanti non dover implicare uno sforzo personale di conoscenza. Oggi, invece, rispetto al passato, pullulano le fonti informative ed anche il più ignorante se vuole può trovare un mare di possibilità per informarsi e per studiare. Ed invece cala la consapevolezza e le feste nazionali o comandate sono un giorno festivo nel vuoto dell'oblio. Il 2 giugno invece è un incrocio di tante cose per l'Italia e per la Valle d'Aosta. Quel giorno a votare ci sono anzitutto le donne, che già due mesi prima avevano votato per la prima volta per le elezioni comunali e questa volta sono chiamate a elezioni generali per votare i membri della Costituente, che scriveranno la prima vera Costituzione. Ben diversa da quello Statuto albertino del 1848, che era stato octroyé dai Savoia e non aveva impedito l'affermarsi della dittatura fascista. Una grande chance anche per la piccola Valle d'Aosta, divenuta dal 1945 circoscrizione autonoma, riacquisendo un suo ruolo istituzionale dopo l'eclisse che aveva subito tra il Cinquecento e il Settecento oscurando ogni particolarismo, sino a diventare nell'Ottocento una Sottoprefettura di Torino. Con il fascismo nasce la grottesca Provincia d'Aosta e sparisce ogni forma di democrazia comunale e, per ordine del Duce, non solo si subisce come tutti un regime dittatoriale, ma si avvia una violenta politica di "italianizzazione". Il dispiacere per la prima Autonomia considerata deludente dai più arroventa il clima politico in quel 1946 e si affrontano sul futuro della Valle le tesi federaliste con garanzia internazionale per la Valle di Severino Caveri, fra i fondatori dell'Union Valdôtaine, erede politico di Émile Chanoux ed antifascista della prima ora, e quelle favorevoli ad un decentramento in un quadro nazionale del grande storico Federico Chabod, partigiano con il nome di "Lazzaro", forse ad evocare un antifascismo da rinascita, perché inesistente mentre faceva carriera universitaria. Due giganti da rispettare e di cui conciliare ex post le differenze nel nome della rispettiva purezza di idee e del sincero amore per la Valle. La Storia asciuga le ferite, ma non travisa le diversità. Questo vale anche per la scelta di quel 2 giugno dei valdostani fra Monarchia e Repubblica con il risultato eclatante in favore di quest'ultima. La verità è che il millenario sodalizio con Casa Savoia non servi a favore di una casata che aveva tradito la Valle, lasciando mano libera ai progetti del Duce ed assecondandolo in scelte sciagurate come l'entrata in guerra con i nostri cugini francesi, per non dire di politiche liberticide contro il sistema scolastico locale ed il tentativo di sradicare ogni particolarismo linguistico. Per non dire di scempiaggini come le leggi razziali e quelle contro la libertà di stampa eccetera eccetera. Le molte ragioni, insomma, che avevano fatto salire in montagna tanti giovani e meno giovani nelle file di una Resistenza combattiva e tenace, che non attese altri per gioire per la Liberazione. Sarà pure il mio blog solo un bignamino, ma spero dia il senso di una fierezza che, se si spegnesse, sarebbe null'altro che un oltraggio a chi ci ha preceduto.