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10 mag 2020

La mediocrità in Politica

di Luciano Caveri

"Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia lo lessi per la prima volta in quarta Ginnasio e feci una figuraccia quando - della mafia sapevo poco - dovetti illustrare il libro alla classe e dissi che il capomafia del libro, don Mario Arena, era un prete, ingannato dal titolo di "don", che in Sicilia è appannaggio di chi ha ruoli di comando nella malavita. Ma il libro, per il resto, mi era piaciuto molto e spesso nella mia vita è tornata quella citazione, messa in bocca proprio ad Arena nel colloquio con il capitano dei Carabinieri Bellodi, emiliano ed ex partigiano, uomo che crede fermamente nei valori di una società democratica e moderna. Dice Arena: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo».

Quante volte nella vita ciascuno di noi ognuno di noi ha incontrato persone inquadrabili in questa categorizzazione ed immagino che ognuno sappia in cuor suo in quale delle definizioni può entrare. Devo dire che le circostanze drammatiche che stiamo vivendo sono state un marcatore straordinario di questo caravanserraglio di tipologie umane ed a spiccare nella considerazione dovuta sono i tanti che hanno retto il colpo e hanno saputo reagire. Mentre sarà bene non farla passare liscia, in termini morali prima ancora che giudiziari, ai decisori che non sono stati capaci, soprattutto se hanno voluto cocciutamente a reggere ruoli in cui si sono dimostrati incapaci e come tali pericolosi complici del virus. Come diceva Leo Longanesi: «Buoni a nulla, ma capaci di tutto». Ci sono doti che i decisori, devono avere, come l'intuito, il coraggio e soprattutto la capacità di decidere: chi non le ha deve farsi da parte specie proprio quando le circostanze eccezionali non offrono spazi di errori imperdonabili. A furia di criticare i "politici di professione", senza distinzione ad esempio fra onesti e disonesti, si è regalato il potere agli incompetenti. E' il frutto avvelenato della "rottamazione" e dell'idea di un nuovismo di maniera di chi sostiene che «uno vale uno» e che competenze e studi sono un retaggio classista. Le capacità sono diventate una colpa, l'inesperienza un valore aggiunto. Ed eccoci a piangere su scelte sbagliate con paura per il futuro.