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29 mar 2020

Chiaroscuri del Web in tempo di crisi

di Luciano Caveri

Svetta come novità, in questa epidemia nefasta che ci sta colpendo al cuore, la presenza di Internet nei suoi usi plurimi e ci pone come non mai di fronte a pregi e difetti della Rete. Certo, il punto di partenza resta la sua evidente indispensabilità e dunque anche in Valle d'Aosta si evidenzia un tema non ancora superato e cioè quello che universalmente viene chiamato "digital divide" ("divario digitale" in italiano ed in francese la suggestiva "fracture numérique"), vale a dire le differenze fra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer ed altri apparati simili ed i collegamenti Internet) e chi ne è escluso e naturalmente può essere considerato anche un divario la qualità dei mezzi a disposizione per accedere alla Rete. Questo avviene ancora in Valle d'Aosta, malgrado investimenti colossali nella fibra e ciò dimostra i limiti della Partecipata "Inva", di cui si è persa per strada la missione e sarebbe bene ridiscuterne ruolo e priorità.

Già in un passato ormai distante ci sono state, come dando un cospicuo aiuto per acquisto per i computer ai 18enni con il denaro del "Fondo Sociale Europeo" (analoga misura ci fu per le persone anziane), campagne per dare strumenti e alfabetizzazione informatica, ma anche dove la connessione è diventata buona aleggia il "digital divide", cioè la barriera virtuale causata da differenze culturali ed anche di impegno verso la cultura digitale. Lo abbiamo visto in Valle con la chiusura delle scuole e l'obbligo di una didattica "domestica" per gli allievi con Istituti pronti ad aiutare gli studenti con lezioni on line e con invio di materiale didattico ben strutturato, mentre altre scuola arrancavano a causa della mancanza di preparazione e delle tecnologie necessarie. Idem nella capacità di utilizzare davvero lo "smart working" (i puristi non lo vogliono chiamare "Telelavoro", ma alla fine si quello si tratta), avendo constatato nel pubblico e nel privato differenze incredibili tra chi è partito senza problemi, sapendo sfruttare le mille possibilità ormai presenti, e chi ancora arranca senza ragioni comprensibili, se non un approccio sciatto verso l'innovazione che ci viene in soccorso per contrastare i rischi di contagio. Ogni disparità diventa di fatto un handicap per chi la subisce, perché l'obbligo scolastico non è un optional. Lo stesso vale per l'uso sociale del Web contro le troppe solitudini e non mi attardo sui vantaggi ludici delle piattaforme televisive "on demand". Oggi una videochiamata o una videoconferenza possono aiutare davvero e dare un senso diverso a quella vita da reclusi ancora più pesante per chi vive solo e in particolare per le persone anziane. Oramai certe tecnologie non sono più complicate come all'inizio e bisogna davvero lavorare in logiche di inclusione e questa emergenza obbliga anche su questo a dei ripensamenti. Fra i difetti ci sono ormai due aspetti. Il primo è un'assoluta ossessione di parte dell'informazione, spesso ansiogena non per colpa dei giornalisti (ma troppo spesso in televisione a fare il loro lavoro sono attorucoli o soubrette), ma a causa degli addetti con conferenze stampa "fiume", come si è visto a Roma e anche ad Aosta. La comunicazione d'emergenza è una disciplina precisa e non ci si improvvisa e chi parla - specie chi ha responsabilità politiche - deve avere un certo tono e una sua allure, altrimenti più che dare sicurezza crea preoccupazione, specie se l'eloquio è impreciso e balbettante. L'effetto annuncio - tipico del presidente del Consiglio Giuseppe Conte con buona pace di alcuni suoi fans che mi scrivono in privato di quanto sia bravo - è sbagliato e mai smetterò di dire che, in emergenza, il ruolo del Parlamento non è quello di ratifica di decisioni spesso ondivaghe dall'oggi all'indomani. Ma il peggio sul Web, specie sulle chat e sui "social", lo danno i professionisti che diffondono notizie false, frutto spesso di piani organici di disinformazione non solo di stupidità personale, che trovano terreno fertile nelle "catene di Sant'Antonio" digitali, che davvero come un virus diffondono falsità e "fake news". Non ho ancora letto di interventi delle Forze di Polizia che hanno corpi specializzati nel setttore digitale, così come la Magistratura in grandi Procure, per perseguire questi reati ancora più grave di emergenza nazionale. Mi capita, nella banalità di gruppi "Whatsapp", di provare a rimproverare chi pubblichi bufale evidentissime e nocive ed ottengo spesso risposte piccate da chi, spesso privo di qualunque qualifica o conoscenza, diventa difensor fidei anche della baggianata più plateale. Sono comportamenti impensabili ma largamente diffusi. Per altro il Web ha un'ultima caratteristica: la memoria, e questo permetterà, a bocce ferme, di vedere le eccessive giravolte di chi è passato, in poche settimane, dalla sottostima dell'epidemia alla drammatizzazione: cambi drastici ben visibili.