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30 gen 2020

Il Giorno della Memoria per non dimenticare

di Luciano Caveri

Domani sarà il "Giorno della Memoria", previsto da una legge che votai nel lontano 2000 alla Camera dei deputati (c'è nei resoconti un mio intervento): una ricorrenza internazionale che è commemorazione delle vittime del nazismo, in particolare dell'Olocausto (ebrei ma non solo) e per ricordare chi ebbe il coraggio di proteggere i perseguitati. Quindi ricordo anche mio papà, definito come "giusto" dalla comunità ebraica di Torino per aver accompagnato ebrei in fuga verso la Svizzera, talvolta ospitati a casa dei miei nonni in via Sant'Anselmo ad Aosta. La data coincide con la liberazione da parte dei russi del campo di sterminio di Auschwitz, allora territorio annesso alla Germania ed oggi in Polonia. Ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz - ed è avvenuto quattro volte, di cui due volte con a turno portando i miei figli, oggi grandi - e lo ricordo come uno dei rari casi nella mia vita in cui ho visto il mondo in bianco, nero e grigio. Pare che esista una malattia, l'acromatopsia completa, che dà questo effetto, ma a me non è capitato dal punto di vista fisico ma per il senso opprimente che quei luoghi restituiscono, sconvolgendo l'animo.

A maggior ragione se se ne ha una visione storica precisa nel solco però di quel periodo che sempre mio padre - internato per lavorare in quei luoghi - visse dal maggio del 1944 per qualche mese, in un clima di terrore e sconcerto per quello che lui, ventenne, scoprì e ciò la logica dello sterminio di massa. Per questo il "Giorno della Memoria" assume per me un significato vero e non rituale, legato al pensiero di questo ragazzo aostano catapultato nel cuore della storia più tragica della Seconda guerra mondiale con il ribrezzo che mi angoscia per certi rigurgiti antisemiti che l'estrema destra neofascista e neonazista coltiva, ma esiste purtroppo anche un filone di antisemitismo di certa sinistra. Quest'anno la data è ancora più evocativa. Sono infatti passati ormai 75 anni da quel drammatico 1945, quando si chiuse la Seconda Guerra mondiale con la sua coda di tragedie. Sono quasi tutti scomparsi i testimoni di quei fatti, e non mi riferisco solo agli ebrei sopravvissuti al piano dello sterminio sistematico inventato dal nazismo (con la successiva complicità del fascismo), ma a tutti quelli che, protagonisti e testimoni, comparteciparono a quella grande tragedia collettiva che insanguinò il mondo. Perciò, ed a maggior ragione, bisogna mantenere viva la memoria senza "se" e senza "ma", perché lo dobbiamo ai milioni di morti. Cosa c'è in un campo di sterminio? Penso che ci sia tutto nell'aria, senza dare a questa spiegazione chissà quale significato esoterico. Quei luoghi parlano del Male e di come l'uomo sappia essere feroce con i propri simili. E con una sistematicità che sconvolge: un piano per uccidere un popolo ed i "diversi". Quei luoghi parlano del Dolore, che sia stato fisico o morale poco importa. Perché lo sterminio era basato su un impasto di crudeltà e paura, fatto di follie come le sperimentazioni pseudomediche o la tortura quotidiana per far soffrire. Ma esistono anche "geni buoni" che aleggiano. Dagli oggetti lasciati dagli internati (giocattoli di bambini, valigie, pettini) alle camerate, dai binari dei treni della morte alle celle di reclusione, dai muri dove si sparava ai prigionieri ai carretti con cui si portavano ai forni le persone gassate. Come se oggetti si facessero parlanti e portassero nel vento le voci di chi è stato lì proprio per il celebre monito di "non dimenticare" e pensiamo ai versi magistrali di Francesco Guccini nella sua canzone "Auschwitz". Il Bene e il Male si fronteggiano e servono per chi voglia ricavare da quei luoghi una visione della Storia che sia fatta, proprio per i troppi fantasmi ed orrori che aleggiano, di speranza che quanto è avvenuto serva a qualcosa. Ad indicare una rotta, ad evitare che certi fatti si ripetano, a fondare quella fratellanza che lì sembra una bestemmia, a dire ai nostri figli che quanto è avvenuto deve essere sempre nella loro mente, perché può tornare sotto nuove vesti. Ero rimasto sconvolto, tempo fa, dalla scoperta nel paese dove abito, Saint-Vincent, di un cancello su cui era stato apposto un simbolo nazista e, per fortuna, l'autore andrà a processo e ricordo ancora con dispiacere come il sindaco Mario Borgio, in una sua intervista in un articolo in cui comparivo io stesso con la mia indignazione, non colse la gravità dell'episodio, quando sono certi fatti e certe persone che ci devono allarmare e non la retorica di maniera. Sara Sergi su "La Stampa", mesi fa, così ha riassunto, invece, il doveroso intervento della Magistratura: "«Le camere a gas sono delle "bufale" servite a far passare per "mostri" persone che non lo sono state per niente come "il grande Adolf Hitler"». E' la sintesi di un messaggio vocale inviato da Fabrizio Fournier, 55 anni di Saint-Vincent, a una terza persona e riportata nell'avviso di conclusione indagini che gli è stato notificato. Fournier è indagato per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Tutto è nato da due cancelli che l'indagato aveva piazzato a casa sua e in cui veniva raffigurata un'aquila che per la procura era chiaramente riconducibile al Terzo Reich. Entrambi i cancelli, esposti sulla pubblica via a Saint-Vincent, erano stati sequestrati e poi l'aquila è stata rimossa (prima del sequestro solo coperta). Le indagini sono partite da lì, ma dopo la posizione di Fournier si è aggravata: viene contestata anche la pubblicazione su Facebook di un'immagine che lo ritrae mentre fa il saluto romano in un luogo pubblico, di video di Robert Faurisson che negavano l'Olocausto e sostenevano che la Shoah fosse uno strumento propagandistico sionista. Oltre ai Social, sono saltati fuori anche i messaggi vocali e i link inviati tramite whatsapp dallo stesso tenore. Per il pubblico ministero Francesco Pizzato, Fournier «ha propagandato idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale o etnico, e ha istigato a commettere atti di discriminazione» con l'aggravante «d'essersi la propaganda, l'istigazione e l'incitamento fondati in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini del genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra e d'essere stati commessi in modo che derivasse un concreto pericolo di diffusione». Fournier rischia fino a sei anni di carcere". Pensare che proprio nel territorio di Saint-Vincent, partigiano in erba, venne arrestato e poi trasferito in campo di sterminio quel Primo Levi che va considerato fra i più grandi e lucidi accusatori dell'Olocausto e fautore eccezionale del "non dimenticare".