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12 gen 2020

Lo spauracchio delle urne

di Luciano Caveri

L'interrogativo penso ronzi nella testa di molti di noi. Le urne, intese come suffragio universale, possono essere considerate uno spauracchio? Certamente in Italia e in Valle d'Aosta è stato così. Da una parte c'è stato uno spirito di autoconservazione degli eletti che speravano sia a Roma che ad Aosta di avere ottenuto un seggio per almeno cinque anni non avendo certo voglia di perderlo nella lotteria delle votazioni, dall'altra - ed in parziale connessione - esisteva la paura fossero gli avversari, direi in entrambi i casi la Lega salviniana, a fare bingo e veder vincere un "nemico" è cosa da evitare. Ma il troppo stroppia, quando si butta a mare ogni logica e ci si mette assieme più pensando ad essere "contro" che affidandosi alla coerenza delle alleanze, specie se ci si avventura in strade contraddittorie rispetto al patto stipulato con i cittadini.

Personalmente penso che, ad un certo punto, in democrazia non si debba aver paura del giudizio degli elettori, anche se so bene che siamo di fronte ad una massa crescente di votanti che si fanno trascinare come foglie al vento nella logica del vecchio "panem et circenses", peggiorata con i "social" che pullulano di promesse e fake news per penetrare in menti facilmente manipolabili. Ormai si sono raggiunti livelli di sofisticazione elevatissimi che riempiono i manuali di comunicazione e di marketing politico. La logica dello storytelling, cioè raccontare anche quanto non necessariamente è vero, sembra spostare masse di voti anche per via dell'infedeltà degli elettori e della crisi dei partiti in cui una volta si credeva. L'elettore è mobile... qual piuma al vento! Mi veniva da sorridere quando, ai piedi di una piramide maya, spiegavano i trucchetti dei sacerdoti-dittatori che riuscivano a creare effetti sonori che abbacinavano il popolo restituendo un semplice battito di mani con il verso dell'uccello sacro e che in occasione dei cambi di stagione creavano effetti ottici che illuminavano un dio serpente. Passano i millenni ma il rischio di trovare incantatori delle folle funziona sempre e il conformismo è difficile da sradicare, come dimostrano certi totalitarismi rimasti in piedi per troppo tempo. Se si deve tenere conto di questo contesto e non fare gli snob con la puzza sotto il naso, ribadisco che se la politica diventa solo uno spazio da riempire fra una votazione e l'altra con l'ossessione di tenersi il posto o di ottenerne uno, allora hanno ragione i mediocri che scelgono la politica in mancanza di un altro mestiere con cui sbarcare il lunario. E' un assioma da contestare e ciò vale a maggior ragione in un'epoca confusa. Ogni rivoluzione e ogni rivolta nasce da fatti oggettivi e non solo su spinge ideologiche. Il motore dell'attuale insoddisfazione in Valle d'Aosta che spinge a voti di protesta o all'astensionismo non è la pancia vuota, ma è il senso di insoddisfazione e l'impressione concreta che l'economia e il benessere dei valdostani sono in discesa. Tutto ciò si tinge di paure e frustrazioni che vanno incanalate in positivo nella costruzione di opportunità concrete e scelte intelligenti che invertano la tendenza e riportino serenità e ottimismo senza autoflagellazioni eterne e depressioni collettive.