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05 gen 2020

Il sogno di Capodanno

di Luciano Caveri

Treinadàn, come si dice da noi, con un'espressione antica che evoca una strenna, cioè un augurio che è un regalo che vale per tutto l'anno. Non vorrei apparire bizzarro nel raccontare questa storiella nel primo giorno dell'anno, dando il mio buongiorno a questo 2020, data che eccita gli appassionati di numerologia. Ho aspettato la Mezzanotte in alta quota con una cena e festeggiamenti per il nuovo anno in un locale rifatto nuovo di trinca sulle nevi di Champoluc di Ayas, l'"Abri du ski", nato laddove c'era un posto della mia giovinezza, "La tana del lupo". Situato sulle piste di Ostafa, nel primo comprensorio sciistico di Ayas, noto come Crest da un villaggio della zona, questo bar-ristorante fu un punto di riferimento della mia compagnia mista fra noi valdostani e turisti che si incontravano in montagna, dando vita a momenti di grande amicizia, davvero formativi in quell'epoca a cavallo fra infanzia, adolescenza e giovinezza.

Un anno aiutai persino - ero un ragazzino - gli amici che gestirono la "Tana" in un clima di simpatica anarchia che non fruttò grandi incassi, ma entrò nel bagaglio di esperienze che ci aiutano a crescere. Per cui questa serata-nottata ha fruttato una notte corta ed un sonno agitato, compreso un sogno breve ma intenso in cui mi sono ritrovato, sedicenne, seduto al tavolo con gli amici di allora a raccontare le mie speranze per il futuro, una specie di flashback notturno dal quale mi sono svegliato in un bagno di sudore. Non è stato affatto un incubo, anzi il sogno era avvolto da una tenerezza verso questa visione di me stesso pieno di energie e di idee, come se la mia coscienza mi riportasse a quegli anni in cui imbevuto di fiducia, nutrito di letture ed immerso in quel brodo fatto di utopie e desiderio di affermazione. Pur non avendo idea - erano gli anni del Liceo - di che cosa avrei fatto con esattezza nella vita, anche se speravo già di diventare giornalista e non pensavo affatto di far politica, malgrado i precedenti in famiglia. Questo è stato il mio risveglio di oggi, come se fosse stata una sferzata dal mio passato, creata da un luogo amico in cui sono tornato e dal frullare dei pensieri di questi giorni in questa Valle d'Aosta che sembra essersi inceppata in uno scenario che inquieta per i nostri figli. Preoccupazioni serie e complessive che sarebbe limitative racchiudere nella sola necessità di andare in fretta a votare per il Consiglio Valle, cui si oppone un manipolo di resistenti per paura di perdere il seggio. Esiste un malessere profondo, che rischia di far affondare l'Autonomia, se non si scacciano complici di malaffare e la sensazione di una politica avvolta da giochi e giochetti senza più pensare a valori e alla soluzione dei problemi concreti. Quel richiamo del sogno mi ha colpito per quella sorta di appello che i sogni sanno dare, pensando a cosa scriveva Erich Fromm: «Un sogno è un microscopio attraverso il quale osserviamo gli avvenimenti nascosti nella nostra anima». Per cui ci leggo davvero qualcosa da dire e da riaffermare non come buoni propositi simile ad un vuoto a perdere, ma assume il senso di un augurio da condividere. Che il 2020 risvegli le coscienze sopite e, evocando Martin Luther King ed il suo «I have a dream» («Io ho un sogno»), ricordare alla Valle d'Aosta che la rassegnazione al declino in corso sarebbe già una sconfitta. Una malattia ha bisogno di cure rapide ed efficaci.