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12 dic 2019

La democrazia avvelenata

di Luciano Caveri

Mi fa molto piacere quando qualcuno mi dice che legge spesso o anche solo talvolta questi miei pensieri quotidiani. Io stesso ho delle letture saltabeccanti, come oggi ti consente un semplice smartphone, ma con degli appuntamenti fissi che sono diventati una piacevole routine. Fra questi ultimi il lucidissimo Mattia Feltri su "La Stampa", campione di questo genere di riassunto di pensieri che ormai molti giornali propongono con cadenza giornaliera e non sono assimilabili ai vecchi editoriali. Mi sono affezionato a questa lettura intelligente con considerazioni che fanno riflettere o sull'attualità o su di una notizia scovata scavando nel flusso impressionante delle notizie che ci martellano.

Ieri, in un articolo che vale più di un saggio ponderoso, ha ripreso una notizia choc con questo incipit: "Il quarantotto per cento degli italiani, dice l'ultimo rapporto del Censis, vorrebbe al potere un uomo forte che non debba curarsi di impicci come le elezioni e il Parlamento. Traduzione: metà di noi s'è stufata della democrazia. Non della casta, non ce l'abbiamo coi papaveri in auto blu, quella è roba superata: ci siamo stufati del sistema di governo del mondo liberale occidentale, come la terza generazione che, dopo la prima che ha fondato l'azienda e la seconda che l'ha ingrandita, per noia sperpera le fortune ignorando la fatica di accumularle. E' sempre più facile buttare giù qualcosa che tirarla su, e noi oggi ci apprestiamo a buttare giù la democrazia perché non sappiamo che comporti l'uomo forte divincolato dagli impicci delle elezioni e del Parlamento, cioè la dittatura. Tutto dimenticato, non abbiamo più padri e spesso nemmeno nonni che la dittatura l'abbiano incisa sulla pelle e ce lo raccontino, è sbiadito tutto quanto è stato scritto, tutto è perduto in un tempo di noncuranza senza passato né futuro. La storia non ci insegna nulla, è stato detto con senno. La democrazia non ci ha reso felici, stop. La democrazia è un cumulo di difetti, stop. La democrazia non ci ha issati sui piedistalli, stop. La democrazia non ha detto abracadabra". Già, guardiamoci attorno da valdostani. L'Autonomia speciale un tempo vanto oggi viene scarsamente considerata ed anzi se domani sparisse, in piazza ci sarebbero quattro gatti. Da fuori una volta ci guardavano ammirati e persino invidiosi ed oggi vale l'inverso. Il Consiglio Valle si trascina in sedute fiume e legifera raramente e mancano grandi dibattiti sui temi cardine. Ci sono consiglieri che pensano che la politica sia cattiveria e furberia. C'è che è arrivato lì con scarsa cultura e fallimenti personali alle spalle, ma pontifica neanche fosse un Papa, stando a galla con il solo scopo di fare male, altro che costruire! I Governi si susseguono stancamente con maggioranze ballerine e logiche cospiratrici sempre in agguato e con incapacità di guardare al di là del contingente e le cose peggiorano. A questa crisi l'estrema Sinistra (sic!) indica, avendo i voti che reggono la baracca, "l'Uomo forte", buttando a mare tutto il resto. Prosegue Feltri: "La democrazia liberale, e i segnali c'erano da anni, ha preso l'aspetto di un meccanismo infernale e indecifrabile strutturalmente inadeguato a mettere mano a uno solo dei problemi della comunità e buono giusto per imbandire le tavole e infarcire le tasche di un pugno di blasonati. La democrazia non è stato altro che il sistema per trasferire la promessa di felicità dall'aldilà all'aldiquà: è nata in rifiuto di un Principe investito da Dio del potere di decidere per noi, che dovevamo curarci di guadagnare i titoli per la vita eterna. Così in Inghilterra e in Francia abbiamo tagliato la testa al Re. Ma coi secoli questa promessa di felicità terrena l'abbiamo presa troppo sul serio. Abbiamo scordato che la felicità della democrazia è il diritto di voto, una testa un voto perché siamo uguali, ugualmente dignitosi, inviolabili, innocenti fino a prova contraria, tutti nel diritto di impostare la vita senza i limiti arbitrari e violenti posti dalle dittature. Ecco che cosa è la democrazia, nelle sue prospettive mai pienamente realizzabili: il diritto di andare da qui a lì senza che nessuno ce lo impedisca. Ecco qual è l'inestimabile fortuna offerta, e sperperata da chi non ne ha cura. E il guaio, serio, è che a non averne cura non è solamente il popolo - parola tronfia, inutile - ma gli uomini stessi della democrazia, da anni immersi nell'opera di smantellamento di quanto fu conseguito col sangue, non unicamente durante la Resistenza, ma prima, per secoli. Quanto fu edificato, corretto, cesellato, studiato punto a punto: la sacralità della rappresentanza, la divisione dei poteri, la tutela delle minoranze, i contrappesi che intralciano la decisione ma limitano il sopruso, la presunzione d'innocenza, una delle più grandi conquiste dell'umanità che questa umanità confusa scansa con ribrezzo suicida. Si pensa ad aggravare le pene, a controllare il mondo con videosorveglianze e software inoculati nei telefonini, si riducono i parlamentari con intenti autopunitivi, la fine della prescrizione consegna gli uomini ai loro inquisitori per l'eternità, si tradisce l'esito delle elezioni sull'incipit di un'inchiesta penale, ogni conseguenza ideale del diritto di voto è immolata dalla democrazia, contro di sé, nel nome mistico dell'onestà e della sicurezza e nel tripudio rabbioso delle folle. Serve un uomo forte su cui scaricare l'insostenibile peso della libertà". Queste parole in una Valle con povertà di pensiero, in cui si aspettano sentenze che spazzeranno via molti ed i giudici scavano su altre storie deflagranti, si rischia la resa della democrazia con godimento dei troppi mediocri e disinteresse di quei meritevoli che stanno alla finestra, rinunciando a intervenire per evitare il peggio per mille tentennamenti che diventano una colpa. In questo clima kafkiano, si lascia spazio a camarille e querelles, ad affaristi e arruffoni, a cinici e arrivisti e la commedia diventa sempre più tragedia, se non si suona - fra chi ci crede - una fine dell'indegno spettacolo che avvelena la democrazia.