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09 dic 2019

La sindrome del lieto fine

di Luciano Caveri

Esiste la sindrome del lieto fine? Penso proprio di sì, tant'è che quando leggo un libro o guardo un film le cui storie finiscono male mi resta un retrogusto amaro. Talvolta mi è capitato di pensare che gli autori lo abbiano fatto apposta per sparigliare le carte o eccedere in originalità. Molto deriva dallo stereotipo fiabesco del "Vissero felici e contenti", che poi si ritrova nella logica "happy end" (che poi sarebbe happy ending) soprattutto filmica. Questo vale, in termini di profondità storica, per la "fiaba", che deriva dal latino "fabula", cioè "racconto", derivato a sua volta dal verbo latino "fari", ovvero "parlare". Si tratta di una narrazione in prosa non troppo lunga e di origine popolare, che ha per protagonisti personaggi fantastici (fate, gnomi, orchi, fate ed il resto del campionario) e sono in genere puro intrattenimento con rari storie a... cattivo fine.

Le favole, invece, sono brevi racconti, in prosa o in versi, che solitamente hanno come protagonisti animali antropomorfi, cioè animali che incarnano caratteristiche umane. Il lieto fine si tramuta, in queste storie, vita quotidiana in cui si fa morale e come coda alla narrazione, spesso in forma di proverbio, che sono in pillole le indicazioni su come comportarsi in certi frangenti. Il lieto fine e l'insegnamento morale spesso vanno strettini rispetto al reale andamento della vita e finiscono per essere stucchevoli e persino irritanti. Se non fosse un termine stupidamente storpiato, si potrebbe parlare di "buonismo" non sempre corrispondente alla cruda realtà, che emerge - per gli amatori del genere - dalla quotidiana lettura delle efferatezze della cronaca nera e dal greve linguaggio ed i comportamenti scomposti di certa politica. Di questi tempi - per fare un esempio concreto - si può evocare una storia natalizia che ci insegue fin dall'infanzia. Mi riferisco al "Canto di Natale" di Charles Dickens, che racconta la storia di un uomo d'affari, Ebenezer Scrooge, avaro ed egoista, che trascura la famiglia ed è incapace di apprezzare le piccole cose come il calore che regala il Natale. Non è un caso che l'intera vicenda si svolga proprio la notte della vigilia. Penso che tutti ricordino, che sia stata la lettura del libro, la visione dei cartoni animati o della trasposizione filmica, i tre fantasmi del Natale: passato, presente e futuro che porteranno Scrooge a pentirsi dei propri atti egoistici e indifferenti, e dunque a cambiare il proprio modo di vivere. Alla fine della favola - e dell'avventura - Scrooge sembra proprio un'altra persona e tutti stenteranno a crederci. Mi viene in mente per analogia la storica del Grinch statunitense, con un cattivo contro il Natale che si converte infine ai valori natalizi. Un lieto fine, insomma, anche se più cresci - magari guardando la storia con i propri bambini - più ti viene il dubbio che questa condizione non sia la vera fine della storia. La vita dimostra ogni giorno - che sia una malattia grave, una crudeltà del destino, una scelta distruttiva - come questa storia del lieto fine faccia parte di quegli elementi consolatori, di quella pedagogia moralistica, del pensare positivo che non fanno male a nessuno, a condizione di comprenderne i limiti. Se si scava più in profondità e si lasciano da parte quegli elementi favolistici, fiabeschi, romanzeschi, filmici e altro ancora, allora resta da confrontarsi con la Storia e le vicende della lunga vicenda umana. Viene in mente una riflessione del filosofo e politologo Norberto Bobbio, quando osservava: «E siano pure ottimisti coloro che credono che sì essere la storia un dramma, ma lo considerano come un dramma a lieto fine. Io so soltanto che la storia è un dramma, ma non so, perché non posso saperlo, che sia un dramma a lieto fine». In fondo questo è un tema interessante, pensando a certi passaggi storici in cui i bivi potevano consentire strade assai diverse fra loro e siamo tentati nel leggere gli eventi di dare a queste diverse opzioni una vita propria che ha portato in fondo - con una visione positivista e di certo determinismo - al presente attuale, come se fosse stata la miglior scelta possibile. Sappiamo bene che non è così e che sarebbe bello poter avere una macchina del tempo, come in certi film di fantascienza, per essere al posto giusto al momento giusto per evitare drammi personali o vicende che hanno pesato sul futuro dell'umanità. Resta, comunque sia, il potere consolatorio del lieto fine, che è forse una delle molle, dell'energia che spinge ad essere pronti e impegnati anche in momenti difficili singoli e collettivi, sperando appunto che quel che verrà sia sempre meglio di un presente negativo.