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28 nov 2019

Riformare la democrazia locale

di Luciano Caveri

Gli opposti estremismi non li sopporto più, che siano sullo scacchiere politico o che siano le posizioni che si assumono di fronte a certi problemi. Per vocazione ho sempre praticato la ricerca di onorevoli compromessi e devo dire che in mille situazioni ho preso in mano la penna per cercare sui testi più vari quelle sfumature che, mantenendo la sostanza, consentissero di trovare un ragionevole punto di equilibrio. Sintesi, insomma, che viene dal greco "sýnthesis, il mettere insieme". Il vero estremista non pratica questa saggezza per la semplice ragione che non bada all'interesse generale, ma al consenso dei suoi e per tenerli caldi radicalizza la sua posizione ed esaspera i toni. In epoca in cui ci si basa più sul proprio elettorato e si cercano sacche di consensi, l'intransigente diventa massimalista ed esaspera la sua faziosità, disprezzando chi cerca una conciliazione.

Ci pensavo ora che iniziano le grandi manovre per le elezioni comunali in Valle d'Aosta della primavera 2020. Un test elettorale interessante e policromo, viste le varie dimensioni e le diverse realtà che vanno dal Comune meno popoloso (Chamois) a quello più abitato (Aosta) sul totale dei 74 Comuni. Le due posizioni estreme toccano la situazione che riguarda il futuro degli Enti locali su cui - vorrei ricordarlo - ottenemmo competenza esclusiva nel 1993 grazie ad una riforma statutaria che porta la mia firma e senza la quale in materia dipenderemmo ancora dallo Stato è in particolare dal Ministero dell'Interno. Lo ricordo per chi ne ha perso la memoria, perché questo vuol dire ampia possibilità di movimento per il legislatore regionale, magari - se ci si riesce - in modo originale, pensando a certe ricopiature fatte ed in atto di procedure nazionali, ad esempio in tema di bilancio armonizzato o di iter amministrativi, che certo non agevolano la democrazia locale. Ma dicevo di due posizioni inconciliabili, il cui cuore riguarda i 74 Comuni. Da una parte c'è chi è paladino di fusioni senza "se" e senza "ma" per ridurre a poche decine gli attuali Comuni con un'operazione a freddo. Dall'altra chi ritiene che tutto sommato vada bene lo status quo e dunque l'assetto attuale non lo si deve toccare. In mezzo c'è chi, come me, osserva che stanno fallendo i processi di collaborazione come i "servizi associativi" e le "Unités des Communes", già "Comunità montane", mancano di identità come Enti intermedi fra Regione e Comuni. Tutto questo mentre in tutti gli Stati europei, specie nelle vicine zone alpine, compresa la Svizzera federalista, ci si pone la questione di accorpare con il consenso delle popolazioni Comuni che o sono ormai troppo piccoli o anche Comuni medi o grandi che cercano taglie che consentano maggior efficienza e minori costi.< Capisco che trovare una via di mezzo tra semplificatori con l'accetta in mano e difensori dello status quo non è facile, ma non si può far finta di nulla. Specie se chi non vuole cambiare nulla o addirittura retrocedere nella ricerca di formule di collaborazione obbligatoria sono gli stessi che non affrontano il tema della legge elettorale regionale con meccanismi - come sarebbero una parte di collegi uninominali - che consentano una rappresentanza omogenea dei territori in Consiglio Valle per evitare che a primeggiare siano la "Plaine" con Aosta ed i Comuni del fondovalle. Latita poi una riflessione seria sui Comuni che rischiano la morte per lo spopolamento, quando viene meno un vero tessuto sociale ed una reale residenza di parte della popolazione e poco si fa per avere misure serie che consentano alle persone di restare o di tornare. Temi difficili a pochi mesi dalle elezioni comunali, ma che in prospettiva dovranno essere affrontati non "a spizzichi e bocconi", ma per misurare in modo complessivo la reale volontà di avere un sistema democratico valdostano che profumi di federalismo e non sia solo frutto di compromessi al ribasso, paralizzati dagli infruttuosi opposti estremismi.