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14 nov 2019

La "kakistocrazia" esiste

di Luciano Caveri

Leggo su "HuffPost" un'intervista di Alessandro De Angelis a Massimo D'Alema, che ha fama di antipatico, ma - per me che l'ho conosciuto - resta uno dei politici italiani con ironia bruciante e con un grande spessore culturale. Così osserva D'Alema sull'oggi: «La verità è che la distruzione dei partiti, il dilagare dell'antipolitica e il peso dei media, vecchi e nuovi, ha favorito una destrutturazione delle nostre società e un indebolimento del ruolo delle classi dirigenti. In molti paesi occidentali si determinano leadership casuali e dequalificate, si afferma quella che alcuni intellettuali definiscono "kakistocrazia" ovvero il governo dei peggiori». D'Alema usa un termine assieme raro e avvincente, che per quanto raramente usato sembra un insieme di istantanee della situazione odierna. Ecco una definzione da dizionario: "La "cachistocrazia" (o "kakistocrazia") è il governo dei peggiori o degli incompetenti. E' una parola che risale all'inizio del XIX secolo e deriva dal greco "kákistos, peggiore", superlativo di "kakós. cattivo", e "-crazia", sul modello di aristocrazia".

Segnalo questa frase assai illuminante: «Les kakistocraties (les plus mauvais gouvernements) prolifèrent dans des systèmes politiques dégradés et chaotiques qui éconduisent les vrais talents et ouvrent la voie aux individus de la pire espèce ou à ceux qui sont le moins outillés pour gouverner». (Moisés Naím, "Quand les gouvernements cumulent crapulerie et incompétence". Interessante davvero, perché basta guardarsi attorno - a tutti i livelli di governo - per verificare come questo virus si diffonda in barba a tutte le logiche di un mondo che dovrebbe progredire e non arretrare. Ci sono pagine su questo tema scritte dai politologi Maurizio Viroli e Michelangelo Bovero, che esplicitano le molte ragioni di preoccupazione «contro il governo dei peggiori» che sarebbe ridicolo da parte mia parafrasare. In Italia basta per altro cogliere in profondità quel senso di disprezzo per il sapere, per la cultura, per la conoscenza che esprime buona parte del fenomeno "Cinque Stelle" per accertare come il male si sia diffuso, imbottito di demagogia, pressappochismo e violenza verbale a colpi di "vaffa". Le esperienze di governo, in città come Roma e Torino, ma soprattutto ai vertici dello Stato, lasciano esterrefatti rispetto all'incapacità palesata e a scelte imbevute di un populismo verboso e aggressivo. Prima la Lega e poi il Partito Democratico hanno sdoganato una classe politica senza qualità e che ha avuto nell'antipolitica una chiave di successo che sfocia infine in una vera e proprio incapacità politica e amministrativa. In sintesi: da una parte la capacità di complicare affari semplici e l'incapacità di affrontare le questioni più importanti e dall'altra la volontà di costruire fumisteria sull'esaltata e improbabile democrazia digitale, di cui la "piattaforma Rousseau" è autentica caricatura. Certo, questa situazione di degrado appare - in termini teorici - come l'opposto dell'aristocrazia, nel senso ampio e corretto di "governo dei migliori", che mi è capitato spesso di citare nella speranza di una sorta di rinascita politica in una Valle d'Aosta in crisi profonda. Nulla di élitario, nella mia accezione, anzi questa sorta di "Patto di riscatto" dovrebbe in qualche modo accomunare tutte le persone di buona volontà, senza distinzione alcuna, in una sorta di pace olimpica che abbia come indirizzo la ricerca dei fattori comuni contro il degrado attuale. E partendo dalla constatazione che troppi "peggiori" occupano oggi posti di responsabilità in gangli vitali della nostra Autonomia, svilendone il significato e peggio ancora il funzionamento. Noto però l'esistenza di una forma di apatia, di assuefazione, di osservazione distaccata degli eventi in una larga parte di popolazione e ciò mi preoccupa. Avviene forse per incapacità di aggregarsi, di mettersi assieme, di trovare misure sagge di reazione. Ma «se non ora quando», viene da dire, nel timore che per i valori autonomistici e democratici ci possa essere un oblio sino ad un punto drammatico di non ritorno. Allora si torna alla speranza evocata che ci siano "optimates" in chiave contemporanea, che nella nostra Valle sappiano aggregarsi e fare sistema contro certi rischi. Dovrebbe servire anzitutto per rafforzare il senso di comunità e di partecipazione con un progetto serio e con uno sguardo al futuro sopra le nuvole. Ciò vale per risolvere problemi concreti contro le chiacchiere che ci avvolgono in un immobilismo senza speranze. Ragionare serve e bisognerebbe poterlo fare spesso, uscendo da schemi precostituiti, ma temo ci siamo disabituati a farlo in assenza di palestre... mentali come agorà da cui far sortire idee e proposte.