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13 nov 2019

Il nostro disco che suona

di Luciano Caveri

Fred Bongusto, morto in questi giorni, non era un cantante che fosse nelle mie corde, ma era sicuramente presente nel mio immaginario e figurava anche fra i "45 giri" che giravano a casa mia, quando ero bambino, e infilare quei vinili nel mangiadischi appariva come un gesto tecnologico rivoluzionario. Non sapevano certo che sarebbe diventato in fretta un ferrovecchio per via di ondate di novità tecnologiche che ci avrebbero investiti crescendo. Quando, in certe trasmissioni radio, mi è capitato di programmare qualche pezzo singolare - tipo «Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè» o "Spaghetti a Detroit" - provavo simpatia per Fred, "crooner" di noi altri - per quel suo tocco d'ironia che lo differenziava da chi si prendeva troppo sul serio. Ripensandoci constato che palla fossero certi cantanti "alternativi" che disprezzavano la musica leggera per il suo - vivaddio! - scarso impegno politico...

Ma l'altra atmosfera di Bongusto era quella insinuante di "Una rotonda sul mare", evocatrice delle rotonde di cemento che ho visto davvero negli stabilimenti balneari con orchestrine apposite, anche se poi i miei locali della giovinezza sono state le discoteche al chiuso o all'aperto d'estate con solo qualche eco di quelle balere o "dancing" frequentati delle generazioni dei nostri genitori. Per chi come me non ballava il liscio in palchetti o affini, tranne rare e goffe comparsate, Bongusto apparteneva a quella schiera di cantanti cui si doveva la magia del "lenti", di cui mai smetterò di intonare elegie. «Ballare un lento» era un momento iniziatico di quando non eri più bambino e quelle musiche e quelle parole ti spingevano verso una "Lei" come rito di passaggio a colpi di ormoni. Imparavi, per necessità, quel gesto di avvicinarsi e di chiederle, al momento del "lento", la frase: «Vuoi ballare?». In pochi secondi ti giocavi il tuo amor proprio e la speranza di un flirt. Ma riavvolgiamo il nastro. Il "lento" in discoteca o nelle feste a casa non arrivava in modo scomposto. Faceva parte di una programmazione dei nascenti disc-jockey: ogni tot di "veloci", con luci stroboscopiche e affini in pista, si susseguivano i brani "lenti" con le luci che diventavano soffuse. Lì scattava il momento e, dopo tanto agitarsi con gli "shake", era l'attimo fatidico per chiedere di ballare il "lento". In quell'abbraccio dondolante a tempo di musica scattava un uso sapiente della stretta, delle spiritosaggini all'orecchio, dello sfioramento dei visi che portava infine al tremebondo bacio, quando e se mai si fosse riusciti - nella complicità con la propria partner - ad arrivarci. Naturalmente non era sempre così: esisteva un galateo del lento, fatto di rigidità mortale della ragazza che avevi fra le braccia, di «cosa fai?» di lei se la stretta ammiccante non era corrisposta nel contatto dei corpi (devo essere più preciso sugli aspetti anatomici?), di risatine nervose che indicavano il "niet". Nessuno ne faceva un dramma, in un linguaggio non verbale che metteva a posto le situazioni senza troppe scene. Fred ne aveva di certo accumulate situazioni liete e tristi sulla sua coscienza attraverso la colonna sonora di cui era maestro in quegli anni di svolta della sessualità e di progressiva liberazione dei costumi. Così pian piano si è stati così liberi da estinguere pure i "lenti", caduti in disuso. Eppure non ci sarà mai un "social" che assomigli a quelle indicibili emozioni fra batticuore, sudori, timori e tremori in attesa di quel bacio che apriva all'eros. Sono "nostalgie canaglie", che servono per un patetico momento di "come eravamo" con i coetanei, ma resto convinto che con la scomparsa dei "lenti" i ragazzi di oggi hanno perso qualcosa, che per loro non è neppure facile da capire. Eravamo analogici ma ci divertivamo lo stesso.