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28 ott 2019

Responsabilità, fiducia e... registro elettronico

di Luciano Caveri

Mi accingo a scrivere qualcosa che non farà l'unanimità. Per altro, in attesa di riaprire le discussioni sul blog, capita  - essendoci la mia mail sempre qui - che qualcuno mi scriva in privato per commentare quanto scrivo. Non penso di avere sempre ragione, spesso trovo punti di vista che mi fanno riflettere, altre volte mi limito a confutare idee che non condivido. E' giusto che se uno si espone, scrivendo in pubblico, accetti complimenti ma anche il dissenso. Ma eccomi al pensiero di oggi, che appunto spero non risulti troppo bislacco. Mi domando ogni tanto - padre di tre figli - quale debba essere lo spazio di autonomia loro riservato e quando e sin dove un genitore debba intervenire senza esagerare. Certo, con i due figli grandi, ormai ventenni, il rapporto è alla pari, benché non siano autonomi economicamente. Ma, al di là del fatto che siano ormai maggiorenni, entrambi sono con la testa sul collo e ci si può fidare.

Il piccolino, quasi novenne, rientra invece nell'età in cui l'educazione e conduzione da parte dei genitori è un dovere, perché è l'età in cui si forma una parte importante della personalità come premessa ad una dirittura che porta poi all'età adulta. Con l'evoluzione digitale applicata alla scuola, sin da piccoli, e fino alla famosa "Maturità" i figli e i nipoti sono rigidamente militarizzati. I loro voti ed eventuali problemi emergono non solo dal diario cartaceo del tempo che fu, ma anche dal temibile ed invadente registro elettronico. Così con certi sistemi veloci e immediati i genitori possono sapere se i figli la mattina non sono andati a scuola, "tagliando", "schissando" o "bigiando" (sono tanti i verbi che indicano il "non andare a scuola"). Tecniche sacrosanti, che consentono di avere una guardiania digitale senza possibili sbandamenti, che siano balle sulle interrogazioni, sui compiti e sui voti, così come l'assenza da scuola non passa inosservata e dunque non valgono più firme apocrife di giustificazione di mamma o papà come si faceva ai miei tempi. Tutto bene, ma... Sbagliando si impara, si matura facendo errori, se serve appunto a maturare senso del dovere ed una coscienza. Capisco bene che certi sistemi di controllo nascano anche per evitare guai per gli insegnanti di fronte a genitori, ormai troppo spesso difensori dei loro figli anche quando in torto. Se tutto è scritto, facilmente consultabile, nessuno potrà dire che non si conoscevano voti negativi, andamenti scolastici zoppicanti e pure la propensione dei figli a marinare le lezioni. Nel passato a certe stupidaggini giovanili corrispondevano ramanzine solenni, quando certe storie venivano scoperte dai genitori, ma questi spazi erano alla fin dei conti elementi di responsabilizzazione e traghettamento verso le responsabilità che ciascuno deve assumersi nella vita. Immagino come sul tema - con ragazzi che sono adolescenti a tempo indeterminato - possa trovare genitori in netto dissenso da quanto scrivo. La trasgressione è sempre tema delicato: violare regole, ordini, disciplina non è una bella cosa, ma penso che in un certo gioco delle parti, che abbiamo giocato da ragazzi - perché meno "spiati" di oggi - abbiamo creato situazioni che ci hanno fatto crescere e capire, anche battendo il naso. Io stesso non ho sempre detto, rispetto alla scuola, "la verità tutta la verità" ai miei genitori. Spesso ne ho pagato il prezzo, altre volte non sono stato sgamato. Ma questo "stop and go" mi ha fatto crescere di certo e mi ha fatto capire che l'autonomia personale significa assumere progressivamente le conseguenze dei propri atti, rispondere anzitutto a sé stessi, prendere pian piano in mano la propria esistenza e non pensare sempre che ci debba essere un controllo occhiuto di chi ci cresce e ci istruisce, cui corrisponda una sanzione «che ti drizzi». Vista dall'altra parte della barricata tutto si sintetizza nella "fiducia".