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22 ott 2019

Le miserie del (falso) «Tiremm innanz!»

di Luciano Caveri

Mi sono occupato per molti anni, soprattutto nel mio lavoro di parlamentare ma anche in altre occasioni, del dovere che dovrebbe essere l'attività principale di chi faccia parte di un'Assemblea legislativa, vale a dire proporre leggi e lavorare sui provvedimenti in discussione. Altri pensano di essere poliziotti o giudici votati solo per esercitare delle funzioni ispettive e quando il troppo stroppia, nel loro abuso si stravolge la logica parlamentarista. Ho scoperto la forza della legge e l'importanza di una buona scrittura, trovandomi alla Camera da giovane, un'attività interessante, che ho affrontato in modo giudizioso, anche per la scelta fortunata di finire a Montecitorio in quella prima Commissione, "Affari Costituzionali", dove tutto passa per il vaglio di costituzionalità.

Un apprendistato interessante, che mi ha permesso di imparare le tecniche legislative, che mischiano esigenze di completezza giuridica con la nettezza dei testi, che non è un aspetto per nulla banale. Con la scoperta sconcertante che spesso certe norme all'italiana nascevano in modo apposito con scarsa chiarezza e molto margine alla successiva interpretazione, per lasciare spazi di manovra! Scelta esecrabile, così come il rinvio a congerie di decreti successivi che finiscono per mettere nel sacco chi invece sperava in norme immediate e tacitiane. Idem per la dizione assassina del "di norma", che fissa regole con una coda di eccezioni. Come non evocare poi gli abusi derivanti da decreti legge "omnibus" e l'utilizzo spregiudicato di voti fiducia che trasformano il Parlamento in una bella (brutta) statuina. Ma uno degli aspetti peggiori sono questi Consigli dei Ministri in cui si approvano provvedimenti di legge che sono incompleti se non vuoti. Da riempire successivamente in barba a logiche che non permetterebbero voti su testi che poi in realtà cambino spesso radicalmente prima di arrivare in Parlamento. E non è solo un malvezzo ma una violazione sistematica di leggi attraverso un uso furbesco di prassi. Mattia Feltri spiegava ieri nella sua impareggiabile rubrica sulla prima pagina de "La Stampa" il paradosso del "salvo intese": «Il governo ha approvato il decreto fiscale, salvo intese. E lo ha mandato a Bruxelles, dove avranno letto questo bel documento, pieno di numerini e sani propositi, e poi saranno arrivati lì: "salvo intese". Dunque, cari amici di Bruxelles, che da lustri trafficate col traduttore di Google per capire che diavolo significhi "salvo intese", ora ve lo spiego io: con mia moglie ogni anno discutiamo su dove andare in vacanza, io voglio andare in montagna e lei al mare, e dopo un'estenuante battaglia la chiudiamo così: "Vabbè, andiamo di sicuro in vacanza, poi decideremo dove". Ecco, la scartoffia che avete davanti vuol dire "qualcosa faremo, poi decideremo cosa, quando avremo finito di scannarci"». Quindi dobbiamo smetterla, aggiungerei di dire che l'Italia è la "culla del Diritto", ma semmai - usando scherzosamente il gergo tennistico - del Rovescio! Aggiunge Feltri: «Però non è una novità. Se la inventò Berlusconi nel 2008, serviva di mettere giù un piano anticrisi e lo misero giù, salvo intese (si scannavano lui e Tremonti e finì maluccio). Poi l'hanno usato Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte. Pensate, amici di Bruxelles, che nella Prima repubblica, quando per legge toccava licenziare la Finanziaria entro il 30 settembre, si usava il metodo "orologio del Capodanno di Fantozzi": si litigava fino all'alba dell'1° ottobre poi, trovata la quadra, si tiravano indietro le lancette e si scriveva che era stata trovata alle 23.59 del giorno prima. Eh, bei tempi. Il guaio è che si deliberava "salvo intese" una o due volte a legislatura. Adesso i governi Conte, questo e il precedente, fanno tutto "salvo intese". Assumiamo medici? Sì, "salvo intese". Soldi ai terremotati? Sì, "salvo intese". Ricominciamo a randellarci domani? Sì, "salvo intese". Ed è così che, "salvo intese", in qualche modo tiriamo avanti». Peccato che questa logica di sbattersene delle regole - e nell'incapacità di avere capacità di trovarsi sintesi in tempo utile (in questo caso sulla manovra finanziaria) - ferisca anche la bontà dell'ultima espressione evocata da Feltri, "tiriamo avanti", usata oggi da chi a Roma come ad Aosta cerca ardite costruzioni per sopravvivere allo spettro delle elezioni. Ab origine il "tiriamo avanti" evoca, infatti, l'agosto 1851 a Milano e quel Amatore Sciesa, di professione tappezziere, che - condannato a morte - si stava dirigendo verso il patibolo. Faceva parte di gruppi di rivoluzionari milanesi nel 1850, spinto dalla politica repressiva messa in atto in città dal famoso Generale Josef Radetzky. Era stato arrestato in corso di Porta Ticinese perché in possesso di manifesti rivoluzionari e per questa ragione condannato alla pena capitale. Secondo la tradizione popolare, a un gendarme che lo spingeva a fare la spia in cambio di una pena più mite, avrebbe risposto in dialetto milanese: «Tiremm innanz!». Ben diverso da certi "Tiremm innanz!" di certa politica.