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19 set 2019

Voici venir la nuit

di Luciano Caveri

Bisogna guardarsi sempre attorno, perché anche questo è un dono, che ogni tanto ci sfugge fra le dita, come una distrazione che deriva dalla routine che rischia di ingrigire ogni nostra emozione. Capita talvolta di trascurare - ed è come un patriottismo tradito nelle sue radici fisiche più genuine - certi momenti di godimento della natura alpina che ci circonda. Ecco perché annoto uno di queste sensazioni. Mi veniva in mente quella nostra canzone, "Le soir à la montagne", armonizzata anche dal grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli, che era appassionato di musica corale. Inizia con quella famosa strofa, che pare scolpita: "Voici venir la nuit" e la musica che segue disegna lo struggente incedere della notte.

Evocavo questa armonia, guardando la lentezza del tramonto dal Rifugio "Bezzi" in Valgrisenche in una sera di settembre, quando l'alta montagna si trasforma nel passaggio all'autunno, con un cambio di colori che può avere questa stessa soave colonna musicale e stupire per certi toni, ad esempio il rosso è il giallo, che insanguinano i pendii. Tutte le volte nella mia vita in cui ho dormito in un Rifugio, tranne le occasioni in cui mi sono trovato avvolto dal maltempo come avvenne una sera da tregenda sul Monte Rosa che ricordava come le alte quote possano diventare una trappola mortale se non si è al riparo, non ho potuto non pensare a questa dimensione particolarissima delle altitudini più elevate. Ci vorrebbe un Salvatore Quasimodo con un lampo geniale descrittivo come questo: «Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera». Mentre Jorge Luis Borges lo racconta in una poesia che diventa una storia che colpisce, pensando alla cecità progressiva che gli tolse la vista: «E' sempre emozionante il tramonto, indigente o sgargiante che sia, ma ancora più emoziona quel bagliore finale e disperato che arrugginisce la pianura quando l'estremo sole s'inabissa. Fa male sostenere quella luce tesa e diversa, quell'illusione che impone allo spazio l'unanime timore della tenebra e che a un tratto svanisce quando ne percepiamo la fallacia, come svaniscono i sogni quando scopriamo di sognare».

Più modestamente, proprio guardando dall'alto in basso questo nostro mondo la sera, nel momento dell'imbrunire, ci sono quei momenti in cui si vedono le luci del fondovalle e della pianura e si ha - in questo momento sospeso fra giorno e la notte - un senso profondo del tempo, che affonda poi, passando da certe impagabili sfumature d'azzurro della bella stagione che si fingono talora di arancioni, rossi e gialli, nel cielo stellato che nel buio della montagna è un raro incanto con le vette che diventano sagome fantasmatiche. L'alba inverte il processo e certe mattine, vissute come al rallentatore, restano altrettanto indelebili. E' un bene stare di più all'ascolto di certe emozioni, perché sono questi i momenti che diventano come una riserva di serenità e bellezza nella nostra vita, che tornano utili nei momenti tristi e difficili. Per mia fortuna, proprio le notti passate in Rifugio sono una carrellata di ricordi di amici e situazioni che scaldano il cuore. Basta azionare la memoria e tutto ritorna in superficie e illumina la scena. Si rivive quanto inevitabilmente non tornerà, ma resta consolatorio contro eccessi di malinconia proprio quel passaggio al giorno successivo - certo non sempre immaginifico come quando ci si sofferma sul passato che abbiamo amato - che alimenta come un combustibile il desiderio di vivere intensamente belle cose nuove per accumularle nello zaino che portiamo sulla nostra schiena.