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15 ago 2019

«Io so' io, e voi non siete un c....»

di Luciano Caveri

Spiace dover adoperare una parolaccia, di cui uno degli scrittori più importanti del Novecento, Italo Calvino, aveva elogiato «l'espressività impareggiabile», che risulta assente a suo dire nelle espressioni equivalenti nelle altre lingue europee. Suggerì in più di «farne un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire Italia Nostra». Ovvia l'ironia della frase rispetto all'uso eccessivo nell'intercalare, ma va anche aggiunto che l'uso del vocabolo - che ha figliato mille espressioni e derivazioni - quando ci vuole ci vuole. «Che ci volete fare: ma io so' io, e voi nun siete un cazzo». Questa, forse, la frase più celebre da uno dei tanti film di Mario Monicelli. A recitarla è stato un grande attore, Alberto Sordi, interprete di Onofrio Del Grillo in "Il marchese del Grillo", personaggio bizzarro della Roma papalina del Settecento.

Questa espressione diventata proverbiale somiglia all'atteggiamento assunto dall'Union Valdôtaine verso chi, avendo anche avuto un certo ruolo nelle istituzioni ed in Rue de Maquisards come il sottoscritto, non se ne andò dallo storico leone rampante per un improvviso sghiribizzo, ma per un faticoso e persino straziante logoramento, specie per chi aveva ragioni familiari e percorso personale tale da ritenere l'Union la propria casa. Fui purtroppo buon profeta di sventura verso certi metodi, certe alleanze politiche e verso l'apertura della porta al "Mouvement" anche a chi nulla sapeva di valori ed idee Autonomiste. Ad arrivare erano troppi che agognavano al potere o a un semplice strapuntino e sceglievano di compartecipare al crescente successo dell'UV, che dopo aver raggiunto l'apice ha cominciato - non avendo ascoltato chi veniva fatto passare per una "Cassandra" - una triste discesa legata anche alla diaspora di chi non sopportava l'assenza di un reale dibattito politico ed i "diktat" verticistici con capi e capetti legati al trono. Questo non è stato un danno astratto, ma sono evidenti il peggioramento della qualità dell'Autonomia e lo stato comatoso di molti settori in quanto frutto di scelte avventate e della spregiudicatezza nei comportamenti. In assenza di reale rilettura di quei fatti e di determinati personaggi, pare che l'unica strada sarebbe oggi quella di rientrare nei ranghi senza alcuna soddisfazione, con la coda tra le gambe e con aria penitenziale. Come se, in fondo, si ammettesse l'errore di essersene andati come condizione per essere riaccolto e come se nulla fosse avvenuto in passato dentro il "Mouvement" per danneggiarne la reputazione e dare buone ragioni a chi ribellò a gioghi e ricatti, pur facendo - ed io lo rivendico - il proprio lavoro politico con impegno. E' un atteggiamento singolare di auto-assoluzione che spiace, perché personalmente ho sempre accolto ogni appello alla riflessione sul mondo Autonomista o meglio sul futuro della Valle d'Aosta, ma certo questo non può avvenire facendo finta di niente ed accettando una tabula rasa senza riflessione corale sugli errori compiuti per evitare che si ricreino situazioni negative. L'attuale difficile governabilità della Valle è il fenomeno più macroscopico che deriva dal disprezzo di regole democratiche, dell'azzeramento del confronto interno, da decisioni cesaristiche legate a logiche affaristiche, dalla scelta di avere una corte con "yesman" e "yeswomen" e leccaculi proni. L'unanimismo crea un deserto di idee, specie se accompagnato dal silenzio e pure dall'incultura che rende il popolo bue, per non dire del malaffare che è cosa diversa dagli errori politici o dall'imperizia amministrativa. Questo sordità rispetto agli appelli alla discussione è stata grave in particolare per la gran maggioranza di persone corrette. Poco importa che fossero iscritti, militanti, simpatizzanti o semplici cittadini valdostani di origine o di adozione: in tanti credevano in progetti e programmi, inquinati e sviliti da chi è stato travolto dalla sua tracotanza e dalla sua presunzione. Così, oltre alla fuga di tanti protagonisti della politica, se ne sono andati tantissimi unionisti e molti che confidavano nel ruolo cardine dell'Union Valdôtaine. Nessuno chiede "pogrom" e campi di rieducazione, ma una riflessione aperta e partecipata che consenta davvero agli Autonomisti variamente in fuga di riflettere insieme sul futuro. Evitando che ciò avvenga solo dal vertice con soluzioni preconfezionate "en petit comité" senza quel momento catartico e liberatorio per tutta la politica valdostana in modo indistinto, che consentirebbe una salutare ripartenza.